Diabete tipo 2: le nuove strategie di cura

“Dai recenti grandi trial di intervento sulla prevenzione e sulla terapia del diabete di tipo 2 è stata messa in evidenza l’efficacia del rosiglitazone, che si è dimostrato in grado, con una potenza che ha largamente superato le aspettative, di prevenire il diabete di tipo 2 – ha affermato il prof. Agostino Consoli, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi G. D’Annunzio di Chieti nel corso di un incontro svoltosi ieri a Roma – Il farmaco si è parimenti dimostrato in grado di assicurare un controllo metabolico ottimale per un lungo periodo in una ampia percentuale di soggetti diabetici di nuova diagnosi: questo indica che è una farmaco che “aggredisce” i meccanismi della malattia e che, in combinazione con la metformina (anch’essa, in misura minore, efficace nella prevenzione) dovrebbe oggi rappresentare “lo stato dell’arte” nel trattamento del diabete di tipo 2″. E questo “stato dell’arte” dovrebbe avere un solo imperativo per il medico: quello di essere vigile e controllare sempre nei i propri pazienti a rischio i valori glicemici.

Intervenire presto e bene : queste le parole evidenziate nel corso dell’incontro che sono la chiave di volta per aprire la porta del successo nella cura di questa patologia che per avere un controllo ottimale nel tempo, impone alla sanità numerose difficoltà. Infatti, nonostante la disponibilità di strumenti indubbiamente efficaci esistono problematiche che impediscono una corretta gestione del diabete di tipo 2: innanzitutto una condizione di ordine organizzativo poichè per avere risultati concreti occorre una gestione di questa patologia concordata e condivisa tra diabetologo e medico di medicina generale, evento che non si verifica spesso, per cui ancora oggi in molti casi i pazienti arrivano tardi allo specialista o non ci arrivano mai. Occorre poi una applicazione corretta dei protocolli diagnostico-terapeutici riconosciuti a livello internazionale che invece spesso sono scarsamente applicati anche per impedimenti di ordine burocratico. Ma soprattutto occorre fare precocemente la diagnosi perchè il paziente è quasi sempre asintomatico nella fasi iniziali del diabete e, non avvertendo alcun disturbo, difficilmente si rivolge al medico curante di sua spontanea volontà.

“Quando ciò avviene, spesso la malattia è già in fase avanzata e le sue complicanze sono presenti, come nelle situazioni-limite (ma tutt’altro che rare) in cui un diabete non noto viene diagnosticato occasionalmente nel corso di un evento acuto grave legato a queste complicanze, come un infarto o un ictus – ha affermato il prof. Domenico Cucinotta, Ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Messina – Questo significa che, per fare diagnosi precoce e quindi per trattare tempestivamente chi è diabetico e non lo sa, è necessario sottoporre a screening regolari della glicemia i soggetti a rischio (in particolare i soggetti in sovrappeso o obesi, quelli che hanno una predisposizione familiare per la malattia oppure altri fattori di rischio cardiovascolare come l’ipertensione e la dislipidemia).

Accanto al ritardo di diagnosi, un altro problema è emerso da un pò di tempo come responsabile dei risultati non sempre buoni della gestione del diabete di tipo 2: la cosiddetta “inerzia terapeutica” – ha continuato Cucinotta – cioè il ritardo con cui il sanitario curante e/o il paziente, pur in presenza di valori non adeguati dei parametri di gestione della malattia e in particolare di glicemie non ottimali, attuano i provvedimenti necessari per evitare che ciò persista e cioè l’intensificazione/adeguamento del trattamento. Questa colpevole inerzia è probabilmente legata ad una sottovalutazione, da parte del medico, dei rischi connessi al cattivo controllo della malattia e, per quanto riguarda il paziente, alla mancanza di disturbi soggettivi tali da indurlo a cercare rimedi.”

Per questi motivi succede spesso che un paziente con diabete di tipo 2 mantenga la glicemia (o gli altri parametri di controllo della malattia) al di sopra dei valori accettabili per molti mesi, se non per anni, durante i quali purtroppo le complicanze progrediscono e gli eventi gravi si verificano. Va sottolineato ancora una volta come oggi tutto questo non sia più accettabile, di fronte alle sempre maggiori evidenze che il diabete di tipo 2 possa essere efficacemente trattato, purchè ciò avvenga presto e bene.

I risultati dello studio ADOPT (A Diabetes Outcome Progression Trial), il primo trial clinico che ha confrontato direttamente gli effetti del rosiglitazone in monoterapia con altri agenti antidiabetici orali (metformina e glibenclamide) in pazienti con diagnosi recente di diabete. Lo studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato nel corso dell’incontro di Roma, ha dimostrato che iniziare il trattamento farmacologico del diabete di tipo 2 con rosiglitazone riduce il rischio di fallimento della monoterapia del 32% rispetto a metformina e addirittura del 63% rispetto al farmaco di confronto della famiglia delle sulfaniluree.

Lo studio ADOPT è una ricerca internazionale multicentrica, condotta in doppio cieco su 4360 diabetici (età: 35-70 anni) mai trattati precedentemente con farmaci e con diagnosi recente (meno di 3 mesi) di diabete di tipo 2 ed il suo end point primario era rappresentato dal fallimento della monoterapia, definita come livelli di glicemia a digiuno maggiori di 180mg/dl. L’indagine è stata condotta in oltre 400 centri specialistici, in Europa e Nord America.

“I pazienti reclutati sono stati suddivisi in tre gruppi – ha evidenziato Prof. Francesco Giorgino, Professore Ordinatario di Endocrinologia Università di Bari e Direttore Unità complessa di Endocrinologia dell’Ospedale Policlinico Consorziale di Bari – il primo è stato sottoposto a trattamento con rosiglitazone (4 milligrammi due volte al giorno); il secondo con metformina (1 grammo due volte al giorno) e il terzo con glibenclamide (7,5 milligrammi due volte al giorno).

La popolazione in esame è stata seguita per un periodo variabile da quattro a sei anni. I parametri di controllo valutati sono stati il controllo della glicemia, la resistenza all’insulina e la funzione delle beta-cellule del pancreas, elementi fondamentali per verificare l’efficacia del trattamento nel tempo.

I risultati dello studio hanno dimostrato che rosiglitazone risulta maggiormente efficace rispetto a metformina e glibenclamide nel ritardare il totale calo del controllo della glicemia, valutata sia con i valori del glucosio nel sangue, sia attraverso la misurazione dell’emoglobina glicosilata (ovvero del glucosio legato all’emoglobina presente nei globuli rossi) – ha proseguito Giorgino – L’attività terapeutica protratta di rosiglitazone sarebbe da collegare al meccanismo d’azione del farmaco, che rispetto ai trattamenti di controllo assicura una miglior sensibilità dell’organismo all’insulina e riduce il rischio di perdita della funzione delle beta-cellule pancreatiche. E’ noto, infatti che le cause fondamentali del mancato controllo della glicemia sono l’aumentata resistenza all’insulina e il calo di attività delle cellule beta del pancreas.

Le conclusioni dello studio ADOPT – ha sottolineato il prof. Giorgino – sono molteplici. Innanzitutto, viene dimostrata la capacità di alcuni farmaci ipoglicemizzanti orali, ma non di altri, di mantenere il controllo della glicemia a lungo termine, cioè per un periodo di alcuni anni. Da questo punto di vista, il rosiglitazone dimostra di essere superiore alla metformina e soprattutto alla glibenclamide. Lo studio ADOPT si differenzia così dai risultati dello studio UKPDS, anche questo condotto alcuni anni fa in pazienti con diabete tipo 2, in cui le terapie con farmaci ipoglicemizzanti orali (sulfaniluree e metformina) non erano in grado di mantenere il controllo della glicemia nel tempo. Inoltre, con lo studio ADOPT viene delineato il profilo di sicurezza di ciascuno dei farmaci ipoglicemizzanti orali studiati.

Se il rosiglitazone risulta associato a un maggior rischio di edema e di aumento di peso – ha proseguito il prof. Giorgino – va tuttavia sottolineato che l’aumento di peso non rappresenta un indice di deterioramento del controllo metabolico, ma al contrario potrebbe essere addirittura un parametro di efficacia di questa terapia. Il rosiglitazone non provoca ipoglicemia e si conferma del tutto sicuro quanto alla possibilità di creare danni epatici. Infine, il rosiglitazione si dimostra in grado di migliorare più degli altri farmaci la resistenza all’insulina e di mantenere più stabile nel tempo la funzione delle cellule beta del pancreas”.

In sostanza, lo studio ADOPT dimostra che quando si sceglie la terapia farmacologica nel diabete tipo 2 dovrebbero essere presi in considerazione i rischi e i benefici potenziali, il profilo degli eventi avversi e i costi dei vari farmaci, ma dovrebbe essere anche considerata la capacità di mantenere il controllo dei valori glicemici nel tempo. Rosiglitazone ha dimostrato di essere superiore a glibenclamide e a metformina nell’ottenere e mantenere nel tempo il controllo glicemico e nella popolazione studiata il farmaco è risultato essere ben tollerato.

Numerose evidenze scientifiche hanno dimostrato in maniera inequivocabile che se il diabete di tipo 2 è ben gestito, l’impatto sia personale (qualità ed aspettativa di vita) che sociale (costi) della malattia possono essere nettamente ridotti, fino ad essere annullati.

Nel corso dell’incontro è stato messo in evidenza come la sempre più elevata diffusione del diabete mellito di tipo 2 sia testimoniata da alcune cifre: sono 170 milioni le persone con questa malattia oggi al mondo e diventeranno oltre 350 milioni nei prossimi 20 anni in assenza di interventi di prevenzione adeguati; in Italia vi sono circa 2,5 milioni di persone con diabete e anche questa cifra è in progressivo aumento. Crescendo la malattia cresceranno anche le sue complicanze, in particolare quelle cardiovascolari, che sono la prima causa di morte in questi soggetti ed incidono in maniera notevolissima sulla spesa sanitaria nazionale (in Europa un paziente diabetico consuma risorse sanitarie per quasi €3000 l’anno, rispetto ad una media pro-capite di €1800; in Italia il diabete rappresenta il 6,6% della spesa sanitaria).

 

da Salute Europa

13 febbraio 2007