Diabete tipo 1, ok Usa a monoclonale che può ritardare malattia

Negli Usa arriva il via libera della Food and Drug Administration (Fda) al primo trattamento che promette di ritardare, forse per anni, l’insorgenza del diabete di tipo 1, la ‘malattia del sangue’ dolce che colpisce spesso giovanissimi. Il farmaco si chiama teplizumab ed è prodotto da Provention Bio, che collaborerà con Sanofi per commercializzarlo negli Stati Uniti. L’azienda prevede che dovrebbe essere disponibile entro la fine dell’anno. La spesa per il farmaco, però, si prospetta significativa. Secondo quanto riporta il ‘New York Times’, in una chiamata agli investitori Provention Bio ha affermato che il trattamento di 14 giorni avrebbe un costo di quasi 194mila dollari.

Il farmaco non cura né previene il diabete di tipo 1, precisano gli esperti. Ma può posticipare la sua insorgenza in media di 2 anni e, per alcuni pazienti, anche più a lungo: secondo l’endocrinologo Kevan Herold della Yale School of Medicine, uno dei ricercatori principali nelle sperimentazioni del nuovo monoclonale, il periodo più lungo finora riportato è di 11 anni. Teplizumab sarà utilizzato per trattare i pazienti ad alto rischio di diabete di tipo 1 – di almeno 8 anni d’età – che hanno anticorpi indicatori di un attacco del sistema immunitario al pancreas e la cui tolleranza al glucosio non è normale. Il trattamento prevede un’infusione di 14 giorni del farmaco, che blocca i linfociti T, impedendo loro di attaccare le cellule pancreatiche produttrici di insulina.

La disponibilità di questo prodotto, commenta un esperto di diabete dell’University of North Carolina, John Buse, non coinvolto nello studio, può essere definita “entusiasmante”, in quanto c’è il potenziale per “dare una svolta al mondo del diabete di tipo 1”. La sfida che si pone adesso è quella dello screening, per intercettare il prima possibile le persone ad alto rischio.

“C’è sempre stata l’idea che lo screening sarebbe una buona idea”, sottolinea Buse. Nel 2011 l’endocrinologo Herold e Jeffrey A. Bluestone, accademico ora Chief executive di Sonoma Biotherapeutics, realtà attiva nel campo delle terapie cellulari, hanno proposto un diverso tipo di studio che si basava proprio sul principio di trattare persone che non avevano ancora sviluppato il diabete di tipo 1. Una mossa audace, ha osservato Bluestone: “Oltre ai vaccini, non ci sono molti farmaci somministrati prima della diagnosi”.

Per trovare le persone potenzialmente da trattare, i ricercatori hanno lavorato con un gruppo di siti di sperimentazione clinica, TrialNet, supportati dai National Institutes of Health. I ricercatori di TrialNet hanno esaminato 200mila persone parenti stretti di pazienti con diabete di tipo 1, alla ricerca di anticorpi che indicassero un attacco immunitario al pancreas e un metabolismo anormale del glucosio. Il risultato è stato uno studio, pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, che ha portato all’approvazione di giovedì.

Incassato il via libera, c’è dunque da affrontare un passaggio chiave: trovare chi potrebbe trarre beneficio dal farmaco. E aiutarlo a salvare le preziose cellule del pancreas ‘fabbrica’ di insulina.

 

 

da ADNKronos

 

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