Diabete gestazionale, ancora controversie nel preferire insulina o farmaci orali

Il trattamento farmacologico del diabete gestazionale rimane una questione controversa, con l’American College of Obstetricians and Gynecologists e l’American Diabetes Association che raccomandano decisamente l’insulina come terapia preferita di prima linea e la Society of Maternal-Fetal Medicine che accetta la metformina come una alternativa “di prima linea ragionevole e sicura” all’insulina.

Se c’è un messaggio chiave, ha dichiarato nel suo intervento al congresso biennale del Diabetes in Pregnancy Study Group of North America Mark Landon, dell’Ohio State University Wexner Medical Center, a Columbus, è che la preoccupazione principale sull’uso di agenti orali per il trattamento del diabete gestazionale riguarda la scarsità di dati di follow-up sulla prole esposta ai farmaci.

«L’affermazione secondo cui non sono disponibili dati sulla sicurezza a lungo termine per nessun agente orale è probabilmente l’avvertimento più valido», ha continuato. «Non ci sono abbastanza dati per stabilire una priorità tra i farmaci più comunemente usati per trattare il diabete gestazionale e la superiorità dell’insulina rispetto ai farmaci orali rimane semplicemente discutibile».

Una raccomandazione di grado A del 2017 da parte dell’American College of Obstetricians and Gynecologists (ACOG) riguardo all’insulina come opzione di prima linea quando è necessario un trattamento farmacologico per il diabete gestazionale è stata confermata nel 2018, a fronte dei risultati di diverse meta-analisi pubblicate nel 2017, e ha ribadito una preferenza per l’insulina.

«Tenendo conto di questo e considerando che gli antidiabetici orali non sono approvati dalla Fda per il trattamento del diabete gestazionale, dato che attraversano la placenta e sui quali non disponiamo al momento di dati sulla sicurezza neonatale a lungo termine, abbiamo ritenuto che l’insulina fosse il trattamento preferito» ha affermato Mark Turrentine, del Baylor College of Medicine di Houston e presidente del comitato ACOG sui bollettini di pratica clinica.

Nei bollettini del 2017 e del 2018, l’ACOG ha affermato che la metformina è una “ragionevole alternativa” per le donne che rifiutano la terapia insulinica o che potrebbero non essere in grado di somministrarla in modo sicuro (raccomandazione di grado B). Il bollettino del 2018 menziona anche la questione dell’accessibilità ai farmaci dal punto di vista economico, dato che le compagnie assicurative non sempre coprono i costi legati all’insulina.

Inoltre per l’ACOG la gliburide, una sulfonilurea di seconda generazione, non dovrebbe essere raccomandata come trattamento farmacologico di prima linea, “perché nella maggior parte degli studi non ha prodotto risultati equivalenti a insulina o metformina”, ha sottolineato Turrentine.

Il ruolo della gliburide
Landon ha contestato la posizione della ACOG sulla sulfonilurea, il cui uso sarebbe stato frenato da uno studio del 2015 su oltre 9000 donne con diabete gestazionale, nel quale gliburide ha evidenziato un maggior rischio di ricovero nell’unità di terapia intensiva neonatale e ipoglicemia nel neonato rispetto all’insulina.

Invece un trial multicentrico, di non inferiorità, randomizzato e controllato del 2018 su circa 900 donne ha concluso che l’uso di gliburide, rispetto all’insulina, non si traduceva in una maggiore frequenza di complicanze perinatali. Solo l’ipoglicemia, unico componente di un risultato composito (tra cui macrosomia, ipoglicemia e iperbilirubinemia) era risultato significativamente diverso, ha osservato Landon, e colpiva il 12,2% dei neonati nel gruppo gliburide rispetto al 7,2% nel gruppo insulina.

Il ruolo della gliburide potrebbe benissimo essere giustificato in futuro, ha affermato Landon sulla base degli esiti di una ricerca in corso da parte dell’Università di Pittsburgh. Lo studio MATCh-GDM (Metabolic Analysis for Treatment Choice in GDM) sta randomizzando le donne a ricevere il trattamento abituale o una terapia funzionale alle diverse caratteristiche del diabete gestazionale: metformina in caso di resistenza all’insulina, gliburide o insulina per i difetti della secrezione di insulina e uno dei tre agenti per i meccanismi combinati.

Metformina e gli effetti sul parto prematuro
Le preoccupazioni sull’impatto della metformina sugli esiti perinatali a breve termine si concentrano sulla nascita pretermine, ha affermato Landon. L’unico studio a oggi che ha mostrato un aumento del tasso di prematurità risale al 2008, ed è il trial australiano Metformin in Gestational Diabetes (MiG), che ha randomizzato 751 donne con diabete gestazionale a ricevere metformina o insulina. I ricercatori non hanno trovato differenze significative tra i trattamenti nelle complicanze neonatali, ma hanno rilevato che nel gruppo metformina l’ipoglicemia grave era meno comune, mentre era più frequente la nascita pretermine.

Una revisione sistematica del 2016 e una meta-analisi degli esiti a breve e lungo termine della metformina, rispetto all’insulina, hanno però evidenziato che la metformina non aumentava il numero di parti pretermine.

La Society of Maternal-Fetal Medicine (SMFM), nella sua dichiarazione del 2018 sul trattamento farmacologico del diabete gestazionale, ha affermato che gli agenti ipoglicemizzanti orali utilizzati come monoterapia funzionano in “più della metà” delle gravidanze. La necessità dell’aggiunta di insulina per raggiungere il controllo glicemico varia tra il 26% e il 46% per le donne che usano metformina e tra il 4% e il 16% per le donne che usano gliburide.

La società afferma che la differenza tra la sua affermazione e le raccomandazioni dell’ACOG è “basata sui valori posti da diversi esperti sulle evidenze disponibili” e aggiunge che sono necessari più dati a lungo termine.

Per Landon, la SMFM è “un po’ più indulgente” nella sua interpretazione di un corpus letterario limitato. E i clinici, nel frattempo, devono affrontare questa controversia. «Le organizzazioni professionali non ci rendono la vita facile. L’insulina non attraversa la placenta mentre i farmaci orali lo fanno. È assolutamente necessario un consenso informato nella scelta degli agenti orali per il trattamento del diabete gestazionale» ha affermato.

Attenzione rivolta al benessere della prole
La preoccupazione maggiore riguarda le potenziali problematiche a lungo termine per la prole, ha continuato Landon. Sono necessari studi di follow-up a lungo termine sulla prole per comprendere il potenziale rischio di obesità e di disfunzione metabolica nei bambini esposti alla metformina in utero.

Un’analisi di follow-up della prole dello studio MiG ha scoperto che i figli di donne con diabete gestazionale ed esposti a metformina avevano un maggior grasso sottocutaneo all’età di 2 anni, rispetto ai figli di madri trattate con la sola insulina, ma che il grasso corporeo complessivo era lo stesso. I ricercatori hanno ipotizzato che questi bambini potrebbero avere meno grasso viscerale e un modello più favorevole di distribuzione del grasso.

Un’analisi di follow-up del 2018 su due studi randomizzati e controllati su donne con sindrome dell’ovaio policistico è motivo di maggiore preoccupazione, ha detto Landon. Gli esiti hanno mostrato che la prole esposta alla metformina in utero presentava un indice di massa corporea più elevato e una maggiore prevalenza di obesità o sovrappeso all’età di 4 anni, rispetto ai gruppi placebo.

Nel 2018, un gruppo di 17 eminenti ricercatori nel campo del diabete e della medicina materno-fetale hanno citato questi risultati in risposta alla dichiarazione della SMFM e hanno messo in guardia contro l’adozione diffusa dell’uso di metformina durante la gravidanza. Hanno scritto che “sulla base delle evidenze cliniche sia farmacologiche che randomizzate, la metformina può creare un ambiente intrauterino atipico e quindi riteniamo che sia prematuro considerarla equivalente all’insulina o superiore alla gliburide e che i pazienti debbano essere informati sui pochi dati di sicurezza a lungo termine e sui potenziali effetti metabolici avversi durante l’infanzia”.

Come si vede, la controversia è ancora ampiamente non risolta. Sono comunque tutti d’accordo nel ritenere assolutamente necessari ulteriori studi di follow-up a lungo termine, che possano far luce sulla maggiore idoneità di un trattamento rispetto a un altro in funzione del benessere della prole.

 

da PHARMASTAR