Diabete e cancro al seno possono essere bersagli dello smog

L’inquinamento non colpisce solo polmoni e cuore. Potrebbe anche essere responsabile, almeno in parte, di altre due tra le malattie che più condizionano la salute pubblica nei paesi industrializzati: diabete e tumore al seno. «Sappiamo che l’inquinamento atmosferico è un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Ma quello che conosciamo è soltanto un pezzo della storia». John Brownstein, del Children’s Hospital Boston, introduce così i risultati di uno studio che potrebbe aprire nuove strade verso la comprensione dei danni derivanti dall’inquinamento. La ricerca, pubblicata sul numero di ottobre di Diabetes Care, ha infatti rivelato due importanti novità. Innanzitutto che vivere in città inquinate aumenta notevolmente il rischio di ammalarsi di diabete. La seconda, forse ancor più importante in termini di salute pubblica, è che non è necessario che gli inquinanti presenti nell’aria siano in quantità “esagerate”, cioè oltre i limiti stabiliti dalla legge: anche nelle città “normalmente” inquinate da auto o industrie il rischio di diabete si alza.

POLVERI SOTTILI – Per giungere a questa conclusione i ricercatori hanno incrociato i dati sui livelli di inquinanti presenti nell’aria e sulla diffusione del diabete nelle diverse contee degli Stati Uniti. Fonti: l’Agenzia per la Protezione Ambientale (Environmental Protection Agency – EPA) e i Centers for Disease Control and Prevention (Cdc). L’inquinante preso in considerazione sono state le polveri sottili, nello specifico quelle più piccole (il PM2,5, cioè quel complesso di particelle di dimensioni inferiori a 2,5 milionesimi di millimetro). «Se ipotizziamo una popolazione di 1 milione di persone, il nostro modello suggerisce che per ogni incremento di 10 microgrammi per metro cubo di PM2,5 si può registrare un aumento di 10 mila diagnosi di diabete, pari a un aumento della prevalenza totale del diabete dell’1 per cento», si legge nelle conclusioni del rapporto. Numeri importanti, che non possono non far aumentare la preoccupazione e che hanno indotto i ricercatori a spiegare che la natura dello studio non consente di affermare con certezza che l’inquinamento è una delle cause del diabete. «Non disponiamo di dati individuali, perciò non possiamo dimostrare la casualità, né possiamo sapere esattamente quale sia il meccanismo che porta queste persone a sviluppare il diabete», ha affermato John Brownstein. Certo, ha aggiunto, «risulta chiaro in tutti i nostri modelli che l’inquinamento è un forte predittore della malattia». Negli stessi giorni in cui veniva pubblicato lo studio americano, dal confinante Canada un’altra ricerca – pubblicata su Environmental Health Perspectives – ha identificato un ulteriore danno che l’inquinamento potrebbe arrecare alla salute.

BIOSSIDO DI AZOTO – L’analisi ha evidenziato infatti un aumento del rischio di sviluppare cancro al seno per le donne che vivono in luoghi in cui l’aria è particolarmente ricca di inquinanti. «Abbiamo osservato per diverso tempo i tassi di cancro al seno andare in su. E nessuno conosce esattamente il perché, dal momento che solo un terzo di essi può essere attribuito ai fattori di rischio noti», ha affermato Mark Goldberg, della McGill University di Montreal, per spiegare le ragioni dell’indagine. Questa volta l’inquinante misurato dai ricercatori della McGill University è il biossido di azoto (NO2), una sostanza strettamente associata al traffico di autoveicoli, e lo studio si è limitato ai diversi quartieri della città di Montreal per un totale di circa 800 donne. I risultati dello studio hanno evidenziato che «il rischio di cancro al seno aumenta di circa il 25 per cento per ogni aumento di 5 parti per miliardo di NO2». In pratica, ha concluso Goldberg, «per le donne che vivono nelle aree con i più alti livelli di inquinamento il rischio di sviluppare il cancro al seno è quasi doppio rispetto a quelle che vivono nelle aree meno inquinate». Anche in questo caso lo studio non stabilisce alcuna relazione causale tra inquinamento e aumento del rischio di sviluppare la malattia. Per fare chiarezza i ricercatori sottolineano la necessità di ulteriori studi che approfondiscano questo rapporto.

 

Antonino Michienzi

Corriere.it Salute/Cuore