Diabete di tipo 1. Le nanotecnologie aumentano l’efficacia dei farmaci di 200 volte

Le nanotecnologie in medicina non sono una novità, ma forse per la prima volta potranno essere usate per trattare i pazienti affetti da diabete mellito di tipo 1. La ricerca che spiega in che modo è stata condotta dalla Università di Harvard e dal Children’s Hospital di Boston e pubblicata su Nano Letters: i nanomateriali potrebbero aiutare a ‘trasportare’ i farmaci all’interno dell’organismo verso il pancreas con migliore precisione ed efficienza. Migliorando i risultati di 200 volte.

Fino ad oggi le nanotecnologie avevano aiutato i medici principalmente nella cura del cancro, poiché le nanoparticelle possono veicolare i farmaci ai tessuti malati passando attraverso i vasi sanguigni danneggiati. La sfida dei ricercatori statunitensi è stata invece quella di sviluppare metodi per trasportare altri medicinali, che potessero curare malattie diverse a tessuti che spesso sono difficili da raggiungere, come le cellule pancreatiche nel caso del diabete. Per farlo gli scienziati hanno sviluppato una nanoparticella intelligente, creata a partire da un peptide, capace di farsi trasportare nei capillari collegati alle parti dell’organo deputate alla produzione dell’insulina.

Secondo gli scienziati che hanno lavorato alla ricerca, in vitro il nuovo metodo migliorerebbe di 200 volte l’efficacia dei medicinali. I nanomateriali, infatti, non solo aiuterebbero a trasportarli verso bersagli specifici, come appunto le regioni del pancreas che contengono cellule produttrici di insulina, ma preverrebbero anche la degradazione delle molecole curative. Ciò aiuterebbe dunque a diminuire le quantità di farmaci che devono essere somministrate perché la terapia abbia effetto, riducendo drasticamente gli effetti collaterali e tagliando i costi.

Ecco perché l’uso di nanoparticelle in campo medico è un’alternativa così interessante alle terapie tradizionali. Il diabete di tipo 1 può infatti portare a numerose complicazioni gravi, che nella maggior parte dei casi possono essere previste, ma non prevenute: i trattamenti per i pazienti ad alto rischio sono infatti basati su farmaci che possono avere effetti collaterali anche gravi, soprattutto nelle dosi necessarie per ottenere un effetto terapeutico.
“Sebbene questo tipo di nanotecnologie avranno bisogno di ulteriori test e di essere sviluppate in maniera ottimale prima di essere usate nella pratica clinica – hanno fatto sapere i ricercatori nello studio – la tecnica potrebbe essere un vero e proprio giro di boa nel trattamento dei pazienti diabetici di tipo 1, riducendo gli effetti collaterali che gravano su di loro e riducendo i costi sul sistema sanitario”.

Laura Berardi

 

da quotidianosanità.it