Diabete a scuola: il caso di Lecce. Quando le buone pratiche non diventano standard

Gentile direttore,
è di ieri la notizia di un bambino di nove anni di Lecce al quale è stato rifiutato il ritorno a scuola – dopo l’insorgere di un diabete di tipo 1 e il conseguente ricovero in ospedale – perché l’Istituto scolastico si è trovato “impreparato a gestire eventuali emergenze”. Ora, dopo la denuncia della madre, pare che tutte le istituzioni (Ufficio scolastico regionale, ASL, Comune, ecc.) si siano attivate disponendo, a partire da venerdì 11 maggio, la presenza durante le ore di lezione di un di un operatore socio sanitario che “assisterà alle operazioni di monitoraggio”.

Esattamente due anni fa, 9 maggio 2016, trovai utile raccontare una esperienza presso l’Ospedale Buzzi di Milano: un incontro organizzato dall’Associazione Giovani Diabetici Italia rivolto agli insegnanti delle scuole lombarde. Un evento ormai diventato routine che tende a dare le istruzioni fondamentali per gestire un bambino diabetico in classe. Una presenza che, insieme agli asmatici-allergici e agli epilettici, è sempre più numerosa nelle scuole italiane e che indirettamente rappresenta la capacità di accoglienza e gestione di questi bambini sia da parte delle scuole sia da parte del Servizio sanitario nazionale. Finché non leggiamo il caso di Lecce.

Il “Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci a scuola” è stato voluto dal MIUR nel 2012 proprio per dare “gambe” alle Raccomandazioni del 2005 in tema di somministrazione di farmaci a scuola.

Nel 2015 Il Comitato, composto da MIUR, Ministero della Salute, Conferenza Unificata, Regioni ed esperti sulle patologie più diffuse nelle scuole (asma e allergie, diabete, epilessia) ha chiuso il suo lavoro avendo coinvolto e audito le Regioni in tre occasioni, sottoposto il modello messo a punto a tutte le Associazioni e le Società scientifiche interessate e ricevendo da queste (salvo una) suggerimenti e, infine, il nulla osta.

Ora il modello messo a punto, che andrebbe diffuso, applicato e monitorato, giace presso il MIUR in attesa di essere sottoposto formalmente alla Conferenza delle Regioni.

E nel frattempo? Nel frattempo il Buzzi a Milano e le altre realtà con una tradizione già avviata di integrazione tra servizi andrà avanti formando e preparando gli insegnanti delle scuole a gestire situazioni che li vedrebbero in ogni caso responsabili di quanto accade nelle loro classi. E questo senza ricorrere ad una figura sanitaria costantemente in classe. Una figura che, da un certo punto di vista, può essere considerata uno spreco, e dall’altro un modo per rendere il bambino diabetico o allergico un bambino “troppo speciale” (e che, invece, ha solo bisogno di alcuni accorgimenti).

Per gli altri, per chi si troverà ad inizio anno scolastico o nel corso dello stesso ad avere in classe un bambino con una patologia cronica, ci sarà la stessa situazione di Lecce, più o meno grave ma sempre con grande stress della scuola, del Comune, della ASL ma, soprattutto, dei genitori e dei bambini che lo stress per quello patologia lo vivono quotidianamente e avrebbero imparato a gestirlo se non fosse per l’impatto che questa ha sulle istituzioni.

In conclusione: perché istituire un Comitato, coinvolgere tante istituzioni, sentire tante realtà, lavorare su un modello che sia gestibile ed applicabile sul territorio nazionale (perché, spesso, già applicato in quel modo), per poi tenerselo in un cassetto del Ministero ormai da ben tre anni?

Possiamo sperare che finalmente entri nell’agenda del prossimo governo?

Rosanna Di Natale
Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci a scuola

 

Quotidiano Sanità