Avere un figlio col diabete. Lettera aperta di un papà

 

 

Gentile direttore,

 


in questi giorni ho letto molto, forse troppo, sull’argomento. Ho letto soprattutto i post pubblicati sui social network e le repliche che si sono susseguite, ho letto il punto di vista di politici, di rappresentanti di associazioni impegnate per il diabete, di persone con diabete e di genitori di minori con diabete. Ho percepito chiaramente il senso di disagio, di rabbia, di sconforto, di amarezza che alcune di queste affermazioni hanno suscitato e le risposte, a volte poco gentili, che ne sono derivate.

Sapete, ho tempo di leggere perché sono padre di una bimba con diabete, ormai ragazzina, ma per un padre sempre la sua bambina, la stessa che ha avuto l’esordio a cinque anni e che da sei viene costantemente seguita dai genitori durante la sua quotidianità, diurna e notturna.

Si, anche notturna, come ora, alle 02,36, mentre scrivo questa lettera, aspettando che la glicemia torni nella norma dopo un’iper a 390 a causa di un’agocannula che misteriosamente dopo appena 14 ore dalla sua sostituzione ha smesso di funzionare. Sono cose che capitano!

Sono qui che aspetto di rimisurare la glicemia perché, dopo sei anni di controlli notturni (per fortuna non tutte le notti), talvolta capita di non sentire nemmeno la sveglia e allora preferisco rimanere alzato per verificare che tutto sia a posto o quasi e intanto leggo quanto più mi è possibile sul diabete, compresa la discussione in atto su invalidità e 104.
E’ vero, sono solo un genitore. Non so cosa si prova ad essere in ipo o iper glicemia (forse è proprio per questo motivo che sono in piedi a quest’ora di notte a gestire una situazione che non posso provare direttamente sulla mia pelle) ma vi posso garantire nel pieno possesso delle mie facoltà mentali che sarei disposto a fare un patto con il diavolo se ciò mi consentisse di assumere su di me i mali dei miei figli, spinto da quell’amore così profondo che si prova per le proprie creature, soprattutto se bisognose di aiuto, così come credo farebbe chiunque abbia avuto il dono di diventare padre o madre.

Probabilmente, agli occhi di qualcuno, sarò sembrato “incongruente” ogni qualvolta mi avranno sentito predicare ai quattro venti che mia figlia è “normale”, che può fare tutto quello che fanno gli altri bambini/ragazzi: feste, gite scolastiche, attività sportiva, pranzi di nozze o semplicemente mangiare una pizza “senza glutine” la sera (si, perché molto spesso la celiachia va a braccetto con il diabete), ma questo è ciò che ogni genitore spera ed ambisce per il proprio figlio, qualunque sia la sua condizione. Qual è quel genitore che non vuole veder realizzati i desideri e i sogni del proprio bambino, disposto a mettere in campo tutte le sue energie e risorse pur di riuscire in questo intento.

La verità, purtroppo, è un’altra.
Ognuno di noi genitori – quei genitori che passano le notti a correggere ipo o iper glicemie, a calcolare quanto insulina è necessaria per i pasti, che corrono a scuola a misurare la glicemia e aspettano l’ora di pranzo per somministrare l’insulina, che hanno almeno quattro-cinque sveglie sul cellulare che corrispondo all’orario in cui il proprio figlio ormai più grandicello dovrebbe chiamarti per dirti che si è misurato la glicemia, che imparano a utilizzare gli strumenti tecnologici necessari a gestire il diabete, etc. etc. – è assolutamente consapevole che il suo bambino/ragazzo non è come gli altri; forse può fare le cose che fanno gli altri ma con una “normalità” diversa, la sua normalità.

Non serve molto tempo dall’esordio per acquistare questa consapevolezza. Una consapevolezza che coinvolge tutta la famiglia e ti proietta in una nuova realtà, diversa da quella che conoscevi prima del diabete.

Ne rimango vittime tutti. Papà, mamme, fratelli. Si anche loro pagano lo scotto, soprattutto psicologico, di essere fratelli di un bambino con diabete. Non vi è cattiveria o volontarietà da parte dei genitori ma il diabete, specialmente all’inizio, ti assorbe tutte le energie e succede di trascurare gli altri figli che non hanno ancora quella sufficiente maturità per capire come mai da un giorno all’altro non ricevono più quelle attenzioni su cui facevano affidamento e che servivano loro per crescere serenamente con la piena consapevolezza di sé.

Ma queste non sono le uniche evidenze della nuova “normalità/diversità”. Fortunatamente non a tutti ma spesso succede di aver:
– problemi di integrazione scolastica con insegnanti che non si vogliono assumere alcuna co-responsabilità, insieme ai genitori e al diabetologo, nella gestione di un bambino con diabete;
– genitori dei compagni di classe che non invitano tuo figlio perché non sanno come comportarsi;
– allenatori e responsabili di società sportive che ti consigliano altre attività, adducendo che la loro non è idonea per tuo figlio;
– fenomeni di emarginazione in genere, senza contare, sempre a causa dell’ignoranza imperante sull’argomento, tutte quelle persone che, seppur senza malizia, pontificano sulle cause per cui a tuo figlio è venuto il diabete.

Ma non è finita qui. Quando finalmente sei riuscito a far accettare a tuo figlio la nuova realtà, devi comunque fare i conti con l’imprevisto: una crisi ipoglicemica importante, durante la quale non ha la forza di stare in piedi e, riponendo in te tutta la sua fiducia, ti chiede perché gli succedono queste cose, perché proprio a lui.
Poi, quando meno te lo aspetti, ti chiederà quando guarirà dal diabete e lì dovrai sfoderare tutta la tua abilità per trovare il modo migliore per dirgli che lo accompagnerà per tutta la vita.

La vita, comunque, continua e ci si trova ad affrontare altri temi. Te ne accorgi quando vai a fare la prima visita medico-sportiva per attività agonistica e il certificato di tuo figlio non dura un anno come per tutti gli altri suoi compagni ma solo sei mesi; se ti va bene arrivi a nove se riesci a convincere il medico che il diabete è ben compensato. Ma il perché di questa cosa, per noi genitori, è molto più semplice da spiegare, dopo che sei riuscito a superare le difficoltà della domanda precedente.

E ancora te ne accorgi quando il medico dovrà valutare la sua idoneità fisica per il rilascio della patente di guida e gli dirà in base all’Allegato III del decreto legislativo n. 59 del 18/04/2011 che essendo affetto da una patologia chiamata diabete mellito, « In caso di trattamento farmacologico con farmaci che possono indurre una ipoglicemia grave (ndr. leggasi insulina) il candidato o il conducente può essere dichiarato idoneo alla guida di veicoli del gruppo 1 fino a un periodo massimo di 5 anni, nel rispetto dei limiti previsti in relazione all’età.» Ma cosa sarà mai se i suoi coetanei invece avranno una patente valida per 10 anni?

E speriamo che ad un certo punto della sua vita, a tuo figlio non venga in mente di chiederti di fare un concorso pubblico per entrare nelle Forze Armate o di Polizia, perché allora dovrai spiegargli che le:
«2. Disendocrinie, dismetabolismi ed enzimopatie
1. a) I difetti del metabolismo glicidico, lipidico, minerale, protidico e purinico» sono causa di non idoneità.

Ma allora mi chiedo, leggendo il contenzioso di questi giorni e dopo aver superato tutte le prove che la vita riserverà prima a mia figlia e di conseguenza anche a noi genitori.

“Siamo noi genitori che vogliamo far giudicare i nostri figli disabili o sono le regole sopra citate, vigenti nel nostro bel Paese, che li giudicano tali?”
Non mi sembra si possa parlare solo di difficoltà da parte delle famiglie che vanno sostenute ma di vere e proprie imposizioni normative.
“Ma veramente è così importante sapere se queste differenziazioni vengono chiamate invalidità, handicap o semplicemente malattia cronica?”
Insieme a quale struzzo vogliamo nascondere la testa per evitare di affrontare una realtà che mi sembra non lasci ombra di dubbio sulla diversità dei nostri figli?

Se mia figlia, raggiunta la sua maturità, riterrà di volersi considerare, nonostante le su esposte evidenze, una persona “normale”, non dovrà far altro che evitare di ripresentare istanza per la valutazione dello stato di invalidità e handicap, che decadranno automaticamente con il raggiungimento della maggior età. Ciò che è certo, insieme alla sua convinzione non verranno abrogate quelle norme o regolamenti che la differenziano dai “cosiddetti” normali.

Nel frattempo, come genitore, avrò cercato di fare tutto il possibile per consegnare alla società una persona adulta con diabete, responsabile e possibilmente senza complicanze e relativi costi sociali, capace di prendere le sue decisioni con serenità e consapevolezza. Per questo motivo sono certo che mia figlia non avrà nulla da rinfacciarmi se avrò fatto ricorso ad un istituto previsto dal nostro ordinamento per garantire a lei e alla società questo risultato.

Fabiano Marra

 

 

 

 

da quotidianosanità.it