Altre conferme su sicurezza dei DPP-4 inibitori

A distanza di un anno dalla pubblicazione dei due trial di safetycardiovascolare Savor (su saxagliptin) e Examine (su alogliptin) si continua a scavare nella grande mole di dati prodotti da questi studi per trovare risposte a nuovi interrogativi.
Nel caso del SAVOR –TIMI 53 un nuovo studio internazionale presentato al congresso dei diabetologi americani (11-OR) dimostra che l’impiego di saxagliptin non appare associato ad un aumentato rischio di cancro. Nonostante l’aumentato rischio di tumore dei soggetti affetti da diabete, ad oggi – fanno notare gli autori dello studio – sono stati finora pochissimi i trial clinici randomizzati che hanno specificamente valutato l’effetto di un determinato farmaco anti-diabete sul rischio di cancro, in questa popolazione di pazienti.

Un’analisi prespecificata del SAVOR è andata a valutare dunque l’effetto di saxagliptin sul rischio di tumore nella coorte di pazienti arruolati per questo studio (circa 8.240 pazienti).

Il 33% dei soggetti arruolati in questo studio era di sesso femminile, l’età media 65 anni, la durata del diabete di circa 12 anni, i livelli di emoglobina glicata media 8% e i valori medi di pressione arteriosa erano 137/79 mmHg. Al momento dell’arruolamento, il 69% dei pazienti era in terapia con metformina, il 40% con una sulfanilurea e il 41% con insulina, in entrambi i gruppi dello studio (saxagliptin o placebo).
Dopo un follow up medio di 2,1 anni, a 688 pazienti è stata diagnosticata almeno una patologia tumorale; il 47,4% di questi apparteneva al braccio ‘saxagliptin’, mentre il restante 52,6% al braccio di controllo (placebo). Sono stati inoltre registrati 53 decessi correlati al tumore nel braccio saxagliptin (0,6%) e 59 nel gruppo di controllo (0,7%).
Gli autori concludono dunque che l’uso di saxagliptin non risulta associato ad un aumentato rischio di tumore o di mortalità correlata a tumore.

Sfumate, grazie ad una sottoanalisi dello studio Examine (12-OR), anche le preoccupazioni inerenti ad una presunta interferenza tra DPP4-inibitori e ACE-inibitori, farmaci ampiamente utilizzati sia come antipertensivi che come terapie anti-scompenso. L’attivazione del sistema nervoso simpatico da parte della sostanza P, attraverso l’inibizione della DPP-4, in presenza di un’ACE inibizione ad elevato dosaggio, aveva fatto sorgere il sospetto di problemi di safety cardiovascolare nei pazienti in terapia con entrambi queste classi di farmaci.

Per dare una risposta a questi dubbi, sono stati rivalutati gli eventi cardiovascolari registrati all’interno dello studio EXAMINE (che ha interessato pazienti con diabete di tipo 2 e recente sindrome coronarica acuta), mettendo a confronto i pazienti in terapia con un ACE-inibitore. Nello studio, i soggetti arruolati erano stati assegnati in maniera randomizzata al trattamento con alogliptin o placebo, in aggiunta ad altre terapia anti-diabetiche o cardiovascolari. In questa nuova analisi è stato valutato il rischio di mortalità cardiovascolare, infarto miocardico non fatale e ictus (MACE), oltre a mortalità cardiovascolare o ospedalizzazione per scompenso cardiaco, nei pazienti in terapia o meno con ACE-inibitori, nei due rami di trattamento (alogliptin o plaebo).

L’EXAMINE ha randomizzato in totale 5380 pazienti, il 62% (3323) dei quali era in terapia con un ACE-inibitore; di questi, 1681 assumevano anche alogliptin e 1642 placebo. I tassi compositi di MACE sono risultati sovrapponibili per i due gruppi, alogliptin (11,4%) o placebo (11,8%), in terapia con un ACE-inibitore o senza ACE-inibitore all’ingresso nello studio (11,2% versus 11,9%).

L’endpoint composito di mortalità cardiovascolare e ricovero per scompenso cardiaco,  tra i pazienti in trattamento con ACE-inibitore, si è verificato nel 6,8% dei pazienti in terapia con alogliptin e nel 7,2% di quelli in trattamento con placebo. Nessuna differenza dell’alogliptin rispetto al placebo, relativamente al ricovero per scompenso cardiaco, nei soggetti trattati con ACE-inibitori (rispettivamente 3,3% e 3,1%).

Infine non è stato riscontrato alcun effetto imputabile ad un dosaggio elevato di ACE-inibitori su questi parametri. Gli autori concludono dunque che l’impiego di ACE-inibitori, a qualsiasi dosaggio, non impatta sul rischio cardiovascolare dei pazienti in trattamento con alogliptin, rispetto a quelli del gruppo di controllo.

Un’ulteriore analisi dello studio EXAMINE (13-OR) ha dimostrato che l’impiego di alogliptin non aumenta l’incidenza di eventi ischemici cardiaci, né dei ricoveri ad essi collegati in una popolazione ad elevato rischio, post-sindrome coronarica acuta, quale era quella selezionata per questo studio. Di conseguenza, visto che i ricoveri per eventi ischemici e gli interventi di rivascolarizzazione comportano dei costi non indifferenti, questi dati – commentano gli autori – suggeriscono che l’impiego di questo DDP-4 inibitore non avrà un impatto negativo sull’impiego delle risorse e sui costi della sanità.





di Maria Rita Montebelli

 

da quotidianosanità.it