ACCORD e ADVANCE: due studi a confronto

L’importanza di prendere in considerazione i trial clinici come strumenti per definire strategie terapeutiche sta assumendo particolare rilievo anche e soprattutto alla luce di 2 recenti studi: l’ACCORD (Action to Control Cardiovascular Risk in Diabetes) e l’ADVANCE (Action in Diabetes and Vascular Disease: Preterax and Diamicron Modified Release Controlled Evaluation).
L’ipotesi di partenza, in entrambi gli studi, era che l’impiego di più farmaci potesse permettere un maggiore controllo della glicemia in pazienti affetti da diabete di tipo 2.
Tuttavia, questi studi, che hanno impiegato differenti strategie farmacologiche, hanno evidenziato come il raggiungimento del controllo glicemico non riduca il rischio di complicanze macrovascolari.

L’ACCORD è un ampio studio clinico condotto su adulti affetti da diabete di tipo 2 a rischio elevato di patologie cardiovascolari. Sono stati reclutati 10.251 pazienti (età media 62,2 anni; 38% donne; 35% con precedenti eventi cardiovascolari o fattori di rischio come dislipidemia, ipertensione, fumo, obesità e con almeno 10 anni di patologia diabetica) con valori medi di emoglobina glicata di 8,1%. Questi pazienti sono stati randomizzati a ricevere un trattamento ipoglicemizzante intensivo (con l’obiettivo di ottenere un’emoglobina glicata <6%) o un trattamento standard (emoglobina glicata pari a 7-7,9%). L’outcome primario era di tipo composito: infarto miocardico non fatale, stroke non fatale o decesso per cause cardiovascolari.
Lo studio ha iniziato ad arruolare pazienti nel 2001 coinvolgendo 77 centri in Canada e Stati Uniti. Per ridurre la glicemia sono stati utilizzate, in entrambi i bracci, tutte le principali classi di farmaci approvati dalla FDA per trattare il diabete, anche in associazione e con schemi posologici molto variegati. I farmaci impiegati nello studio sono stati: metformina, glitazoni, insuline, sulfaniluree (gliclazide, glimepiride, glipizide, gliburide), acarbosio ed exenatide.

Inoltre, 4733 pazienti sono stati randomizzati a ricevere un trattamento antipertensivo intensivo (per ottenere una pressione sistolica <120 mmHg) o standard (pressione sistolica <140 mmHg) e 5518 pazienti sono stati randomizzati a ricevere fenofibrato o placebo, mantenendo un buon controllo del colesterolo LDL con simvastatina.
Queste ultime 2 parti del trial sono ancora in corso ed i risultati non sono ancora noti, mentre la parte relativa al controllo glicemico è stata interrotta 17 mesi prima del previsto a causa della mortalità più elevata rilevata in uno dei gruppi trattati.

Ad un anno, infatti, sono stati raggiunti livelli stabili di emoglobina glicata di 6,4% nel braccio sottoposto a trattamento intensivo e di 7,5% nel braccio con trattamento standard. Nel periodo di follow-up, l’outcome si è verificato in 352 pazienti del braccio con trattamento intensivo vs 371 del braccio a terapia standard (hazard ratio, HR 0.90; 95% CI 0,78-1,04; p=0,16). Inoltre, 257 pazienti sottoposti a trattamento intensivo sono deceduti vs 203 del braccio a terapia standard (HR 1,22; 1,01-1,46; p=0,04). Circa la metà dei decessi ha avuto una causa cardiovascolare (attacco cardiaco, morte cardiaca improvvisa, scompenso, stroke ecc).

Lo studio ADVANCE ha randomizzato 11.140 pazienti con diabete di tipo 2 a ricevere un trattamento ipoglicemizzante standard o intensivo (caratterizzato dalla somministrazione di gliclazide a rilascio modificato in associazione ad altri farmaci necessari al raggiungimento di valori di emoglobina glicata =6,5%).

I pazienti selezionati dovevano aver avuto diagnosi di diabete dopo i 30 anni, un’età di almeno 55 anni al momento del reclutamento, precedenti di eventi micro- o macrovascolari maggiori o almeno un fattore di rischio per malattia vascolare. Non era previsto un criterio di inclusione/esclusione per il valore di emoglobina glicata, mentre sono stati esclusi i pazienti con controindicazioni al trattamento in studio o indicazioni per una terapia insulinica a lungo termine.
L’end point primario era di tipo composito, costituito da eventi macrovascolari maggiori (decesso per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale o stroke non fatale) ed eventi microvascolari maggiori (insorgenza o peggioramento di nefropatia o retinopatia), valutati insieme e separatamente.
Dopo una media di 5 anni di follow-up, l’emoglobina glicata presentava valori inferiori nel braccio sottoposto a trattamento intensivo (6,5%) rispetto al braccio a terapia standard (7,3%).

Il trattamento intensivo ha ridotto l’incidenza di eventi micro- e macrovascolari combinati (18,1% vs 20,0% del braccio standard; HR 0,90; 0,82-0,98; p=0,01) e degli eventi microvascolari maggiori (9,4% vs 10,9%; HR 0,86; 0,77-0,97; p=0,01), soprattutto l’incidenza di nefropatia (4,1% vs 5,2%; HR 0,79; 0,66-0,93; p=0,006), senza significativi effetti sulla retinopatia (p=0,50).
Un effetto significativo non è stato riscontrato neanche per quanto riguarda gli eventi macrovascolari maggiori (HR 0,94; 0,84-1,06; p=0,32), decesso per cause cardiovascolari (HR 0,88; 0,74-1,04; p=0,12) o per tutte le cause (HR 0,93; 0,83-1,06; p=0,28). Grave ipoglicemia è stata riscontrata più spesso nel braccio sottoposto a trattamento intensivo rispetto a quello standard (2,7% vs 1,5%; HR 1,86; 1,42-2,40; p<0,001).

L’ACCORD ha dunque rilevato come una strategia intensiva si associ ad un più alto rischio di decesso, tanto da portare ad una precoce interruzione di questa parte dello studio. I risultati dell’ADVANCE indicano, invece, come la strategia terapeutica applicata possa ridurre il rischio di peggioramento della funzionalità renale a costo, però, di un eccessivo rischio di episodi di ipoglicemia.

Sebbene l’ACCORD e l’ADVANCE mettano entrambi a confronto un trattamento ipoglicemizzante intensivo ed uno standard in soggetti diabetici, i 2 trial differiscono in maniera sostanziale. La maggior parte dei pazienti in entrambi gli studi ha ricevuto farmaci di diverse classi, in associazione o meno all’insulina. Tuttavia, nell’ACCORD non erano previste restrizioni sui trattamenti ipoglicemizzanti per raggiungere il target glicemico, mentre nell’ADVANCE tutti i pazienti del braccio a controllo intensivo hanno ricevuto, all’inizio dello studio, gliclazide a rilascio modificato. Nell’ADVANCE, i glitazoni sono stati somministrati in meno del 20% dei partecipanti, mentre nell’ACCORD il rosiglitazone è stato usato nel 90% del braccio sottoposto a terapia intensiva e nel 58% del braccio sottoposto a trattamento standard. Nell’ACCORD, i partecipanti sono stati randomizzati a ricevere un trattamento ipotensivo standard o intensivo o a ricevere fenofibrato o placebo; nell’ADVANCE, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere perindopril e indapamide o placebo (Patel A et al. Lancet 2007; 370: 829-40). Nessuno dei 2 studi ha enfatizzato le modifiche dello stile di vita o della dieta.

Nell’ADVANCE, solo metà dei partecipanti era in trattamento con aspirina e solo metà stava ricevendo statine alla fine del follow-up in entrambi i bracci, mentre nell’ACCORD le percentuali erano più alte (circa 75% e 88%, rispettivamente).

I punti di forza di entrambi gli studi sono l’ampio numero di partecipanti ed un lungo periodo di follow-up (in media da 3,5 a 5 anni). Inoltre, le caratteristiche al basale dei partecipanti dei 2 trial erano quelle tipiche di adulti con diabete di tipo 2: età media 62-66 anni, durata della malattia 8-10 anni, livello medio di emoglobina glicata 7,2-8,1%. Circa 1/3 dei pazienti in entrambi i trial aveva precedenti di patologia macrovascolare, quindi è stato possibile stabilire l’effetto di un controllo glicemico intensivo in pazienti con o senza preesistenti complicanze macrovascolari.

In media, i pazienti del braccio a trattamento intensivo dell’ADVANCE hanno raggiunto l’obiettivo terapeutico (emoglobina glicata del 6,5%), mentre pochi pazienti hanno raggiunto quello dell’ACCORD (emoglobina glicata <6%). Nell’ACCORD, i pazienti a terapia intensiva hanno avuto una riduzione molto rapida dei livelli di emoglobina glicata (riduzione assoluta di 1,4% in 4 mesi) mentre nell’ADVANCE la riduzione assoluta è stata dello 0,5% a 6 mesi e dello 0,6% a 12 mesi.

Il messaggio più convincente inviato da entrambi gli studi è che un controllo glicemico prossimo al normale per una media di 3,5-5 anni non riduce gli eventi cardiovascolari. Tuttavia, l’ADVANCE ha confermato la prevista riduzione di microalbuminuria di nuova insorgenza e nefropatia (Stratton IM et al. BMJ 2000; 321: 405-12). In questo studio, il trattamento intensivo ha prodotto una riduzione relativa del 10% dell’outcome primario composito di eventi macro- e microvascolari, soprattutto per la riduzione della nefropatia (complicanza microvascolare).
Tuttavia, rispetto all’effetto del controllo glicemico sulle complicanze macrovascolari, l’ADVANCE dà risposte negative. Specificamente, quando gli eventi macrovascolari sono considerati separatamente, non si assiste ad una riduzione significativa. Questo risultato non ridimensiona l’importanza del trial, perché i risultati negativi sono importanti per valutare l’associazione tra target glicemico e malattia cardiovascolare.

Preoccupante il risultato dell’ACCORD e cioè che un controllo glicemico prossimo al normale si associ ad un significativo aumento del rischio di mortalità per tutte le cause cardiovascolari, cioè gli outcome che il trial si prefiggeva di prevenire.
La causa di questo aumento, inatteso, dei decessi è di grande interesse: 19 delle 41 morti per cause cardiovascolari sono state attribuite a “inattesa o presunta malattia cardiovascolare”, che potrebbe essere correlata o precipitata dall’ipoglicemia. Se l’ipoglicemia può dunque aver avuto un ruolo importante nell’induzione dei decessi registrati nell’ACCORD, i prossimi studi sulla riduzione del rischio cardiovascolare dovrebbero utilizzare approcci terapeutici associati ad un rischio più basso di ipoglicemia.

Una valutazione più accurata ha rivelato che per l’outcome primario composito non c’era una differenza statistica tra i 2 bracci. Paradossalmente, ci sono stati meno episodi di outcome primario composito nel gruppo a terapia intensiva e le percentuali hanno cominciato a divergere dopo 3 anni, a favore del gruppo a terapia intensiva.
Esistono, tuttavia, delle incongruenze. Ad esempio, la percentuale di decessi per tutte le cause e per cause cardiovascolari era significativamente più elevata nel braccio sottoposto a terapia intensiva rispetto alla terapia standard, ma la percentuale di infarti miocardici non fatali era più bassa nel braccio a trattamento intensivo, mentre le percentuali di stroke non fatale e di scompenso cardiaco congestizio fatale o non fatale non differivano significativamente.

I glitazoni sono stati ampiamente prescritti nell’ACCORD (92% vs 58%, con uso quasi esclusivo di rosiglitazone) a differenza dell’ADVANCE (17% vs 11%). Anche se una metanalisi ha concluso che l’uso di rosiglitazone si associa ad un significativo incremento del rischio di infarto miocardico e ad un incremento quasi significativo di morte per cause cardiovascolari (Nissen SE et al. N Engl J Med 2007; 356: 2457-71), i ricercatori dell’ACCORD sono arrivati alla conclusione che i 2 bracci dello studio avevano rischi e tassi di mortalità simili, indipendentemente dalla prescrizione di rosiglitazone.

Il trattamento con insulina è stato associato ad un aumento ponderale, soprattutto in caso di contemporanea somministrazione di glitazoni o sulfaniluree. L’uso frequente di glitazoni ed insulina nell’ACCORD spiega probabilmente l’incremento di peso (in media 3,5 kg) rilevato nel braccio a terapia intensiva; un sottogruppo (28%) ha addirittura avuto un aumento di peso sostanziale (>10 kg), ma non è chiaro se questi pazienti abbiano avuto un tasso più alto di eventi cardiovascolari o decessi rispetto a quelli con minore aumento ponderale. Le oscillazioni di peso sono state invece trascurabili nell’ADVANCE.

Quali sono le implicazioni di questi 2 studi nelle linee guida terapeutiche per il diabete di tipo 2? Entrambi i trial hanno mostrato che il conseguimento di livelli di emoglobina glicata inferiori a quelli al momento raccomandati non hanno un effetto benefico sulla malattia cardiovascolare.
Le raccomandazioni attuali suggeriscono l’adozione di obiettivi “personalizzati” per tipologie di pazienti e indicano che un controllo glicemico meno intensivo potrebbe essere indicato nei pazienti con ipoglicemia grave o frequente.

Sulla base dei dati presentati, devono essere fatte opportune considerazioni riguardo ai pazienti con più fattori di rischio cardiovascolare. Un target di emoglobina glicata di circa il 7% potrebbe essere appropriato in questa popolazione ad alto rischio, soprattutto quando si considera una terapia farmacologica più aggressiva. Sfortunatamente, questi studi non hanno considerato le strategie terapeutiche per ridurre i livelli di emoglobina glicata in pazienti a basso rischio che non hanno patologie cardiovascolari o fattori di rischio cardiovascolare aggiuntivi. Nell’ACCORD i pazienti a trattamento intensivo senza precedenti di patologia cardiovascolare o con livelli basali di emoglobina glicata <8% hanno avuto meno eventi cardiovascolari fatali e non fatali rispetto ai pazienti a rischio più alto. Questi risultati suggeriscono che la terapia intensiva possa essere utile almeno in questo sottogruppo, mentre non si sa se l’utilità possa estendersi anche ai pazienti a rischio inferiore.

Sebbene il miglioramento della glicemia possa proteggere nei confronti di complicanze microvascolari, l’assenza di una riduzione degli eventi macrovascolari implica un effetto additivo del rischio non glicemico che spesso si associa al diabete, come ipertensione, iperlipidemia ed ipercoagulabilità, tutti elementi che dovrebbero essere considerati nell’interpretare i risultati dell’ACCORD e dell’ADVANCE.
C’è una chiara evidenza che aspirina, statine ed antipertensivi si associano ad una sostanziale riduzione del rischio cardiovascolare in questi pazienti. Le terapie associate sono evidence-based ed ampiamente consigliate, ma possono non essere facili da attuare, anche se prestate in strutture specializzate nell’assistenza ai diabetici.

L’ADVANCE e l’ACCORD non intaccano la validità delle linee guida attuali né sminuiscono l’importanza del controllo glicemico.
Il target più appropriato per l’emoglobina glicata dovrebbe rimanere pari al 7%, sebbene target più bassi potrebbero essere appropriati quando l’obiettivo è la prevenzione primaria di patologie macrovascolari. Quando si vogliono raggiungere valori inferiori al 7%, sarebbe opportuna una accurata valutazione del rapporto rischio/beneficio.

L’ACCORD, l’ADVANCE ed altri studi recenti ci ricordano che la pratica clinica è complessa, e che in ultima analisi, bisogna comprendere gli effetti di un approccio terapeutico sulla popolazione, non su end point surrogati.
I medici che assistono pazienti diabetici dovrebbero continuare ad incentivare l’interruzione dell’abitudine al fumo, la dieta, l’esercizio fisico, il controllo pressorio, lipidico e piastrinico.
Per adesso, più che cambiare l’attuale target glicemico, può essere più utile ai pazienti diabetici implementando i programmi che li aiutino a raggiungere gli obiettivi ad oggi raccomandati (American Diabetes Association. Diabetes Care 2008; 31: S12-S54).

Riferimenti bibliografici

Krumholz HM et al. Redefining Quality — Implications of Recent Clinical Trials. N Engl J Med 2008; 358: 2537-9.
Dluhy RG, McMahon GT. Intensive glycemic control in the ACCORD and ADVANCE trials. N Engl J Med 2008; 358: 2630-3.
Cefalu WT. Glycemic targets and cardiovascular disease. N Engl J Med 2008; 358: 2633-5.
Gerstein HC et al. Effects of Intensive Glucose Lowering in Type 2 Diabetes. N Engl J Med 2008; 358: 2545-59.
Patel A et al. Intensive blood glucose control and vascular outcomes in patients with type 2 diabetes. N Engl J Med 2008; 358: 2560-72.

 

 

A cura della Dott.ssa Maria Antonietta Catania
Centro di Informazione sul Farmaco della Società Italiana di Farmacologia –

24 febbraio 2009