Vitamina D: non riduce il rischio di diabete nei soggetti ad alto rischio

La ricerca qualche volta riserva anche cocenti delusioni. L’ultima arriva da San Francisco dove al congresso dei diabetologi americani (American Diabetes Association, ADA) sono stati presentati, e in contemporanea pubblicati sul New England Journal of Medicine, i risultati dello studio D2d (Vitamin D and Type 2 Diabetes), uno studio multicentrico, randomizzato, controllato con placebo e coordinato da Anastassios Pittas (Division of Endocrinology, Diabetes, and Metabolism, Tufts Medical Center, Boston).

Ipotesi dello studio era verificare se la supplementazione di vitamina D fosse in grado di rallentare o prevenire la comparsa di diabete di tipo 2.  Un’idea questa suggerita da alcuni recenti studi osservazionali che avevano evidenziato  un’associazione tra bassi livelli di 25-idrossi vitamina D e aumentato rischio di diabete di tipo 2. Di qui l’ipotesi che la carenza di vitamina D potesse rappresentare un fattore di rischio per diabete e che dunque la sua supplementazione potesse in qualche modo ridurre questo rischio.Un’ipotesi questa dotata anche di una plausibilità biologica, visto che bassi livelli circolanti di 25-idrossi-vitamina D sono risultati associati sia ad un’alterata funzionalità delle beta cellule che ad insulino-resistenza.

Al fine di valutare se la supplementazione di vitamina D fosse dunque in grado di ridurre il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 negli adulti con prediabete (definito in base alla presenza di almeno 2-3 dei seguenti criteri: glicemia a digiuno 100-125 mg/dl, glicemia a due ore da un carico glucidico di 75 grammi, tra 140 e 199 mg/dl, emoglobina glicata tra 5,7 e 6,4%), gli autori hanno randomizzato un gruppo di adulti con prediabete e un gruppo di controllo composto da soggetti normoglicemici alla supplementazione di 4.000 UI di vitamina D3 al giorno o placebo, a prescindere dalle concentrazioni plasmatiche basali di 25-idrossi-vitamina D. Endpoint principale dello studio era la comparsa di nuovi casi di diabete.
I 2.423 partecipanti allo studio (1.211 assegnati alla supplementazione con vitamina D, 1.212 al placebo) dopo due anni presentavano una concentrazione media di vitamina D di 54,3 ng/ml nel gruppo dei trattati, contro 28,8 ng/ml nei controlli; a 2,5 anni di follow-up sono stati registrati 293 nuovi casi di diabete nei trattati e 323 nel gruppo di controllo; la supplementazione di vitamina D aveva cioè ridotto il rischio di sviluppare nuovi casi di diabete di tipo 2 del 12%, un risultato non statisticamente significativo.
Gli autori concludono dunque che tra i soggetti ad alto rischio di diabete di tipo 2 , la supplementazione di 4.000 UI di vitamina D3 al giorno, non riduce in maniera significativa il rischio di progressione a diabete franco, rispetto ai controlli.
Mentre lo studio D2d era in corso, sono stati organizzati altri due trial con lo stesso razionale. Il Tromsø Vitamin D and T2DM (Norvegia) ha arruolato 511 soggetti adulti con prediabete, randomizzandoli ad una supplementazione settimanale di 20.000 UI di vitamina D3 o placebo; anche in questo caso è stata rilevata una tendenza numerica, ma non statisticamente significativa, in favore della supplementazione di vitamina D. Il Diabetes Prevention with Active Vitamin D study (Giappone), ha arruolato 1.256 adulti con prediabete, randomizzandoli ad un analogo della vitamina D (eldecalcitriolo) o placebo. Anche in questo caso è emersa solo una tendenza, non statisticamente significativa, ad una riduzione del rischio di diabete di tipo 2 nei soggetti supplementati con vitamina D.

Mettendo insieme i risultati di questi tre trial insomma, emerge che la supplementazione di vitamina D può contribuire a ridurre il rischio di diabete tra le persone ad alto rischio (pre-diabete), ma in un ordine non superiore al 10-15%. Da un punto di vista statistico però nessuno di questi studi aveva un potere sufficiente per testare un effetto di queste dimensioni. Va detto comunque che non essendo stata fatta una selezione iniziale in base alle concentrazioni plasmatiche di vitamina D dei partecipanti e dato che sempre più persone assumono questi supplementi anche per altre ragioni (es. osteoporosi), 8 persone su 10 di quelle arruolate avevano dei livelli basali di 25-idrossi vitamina D nella norma; anche questo può aver limitato la capacità dello studio di evidenziare un effetto protettivo derivante dalla supplementazione di vitamina D sul rischio di diabete.

Al netto di tutte queste considerazioni tuttavia, lo studio D2d, condotto su soggetti ad alto rischio di diabete di tipo 2, non selezionati sulla base dei loro livelli basali di vitamina D circolanti, non ha dimostrato un effetto protettivo di una supplementazione di 4.000 UI di vitamina D3 nei confronti del rischio di diabete, rispetto al placebo.

Lo studio D2d è stato finanziato da National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases statunitense.

Maria Rita Montebelli

 

da Quotidiano Sanità