Una cura al diabete di tipo I grazie ai fondi europei

«Sono fiducioso, si può trovare una cura al diabete di tipo I entro 5 anni, qui a Siena». Il professor Francesco Dotta, direttore dell’unità di diabetologia del Policlinico Le Scotte, cautele di rito a parte, trattiene a stento l’entusiasmo. Naimit, questo il nome dell’imponente progetto di ricerca che l’Università di Siena porta avanti da quasi tre anni assieme ad altri sei atenei europei.

A differenza del diabete provocato dall’obesità e da un’alimentazione troppo ricca di zuccheri (tipo II), quello di tipo I è genetico e autoimmune: è scritto nel DNA fin dalla nascita, ed è incurabile.
«L’aspetto peggiore di questa malattia è che colpisce soprattutto i bambini – spiega il diabetologo – condannandoli a una vita legata alla continua assunzione di insulina».
Lo studio condotto dal professor Dotta e dalla sua equipe di ricercatori – nel quale la Commissione europea, nell’ambito del “VII Programma quadro” (il progetto di ricerca congiunto più vasto al mondo) ha creduto fin dall’inizio, tanto da finanziarlo con più di 10 milioni di euro – si propone invece di trovare una cura definitiva alla malattia, restituendo ai piccoli pazienti un’esistenza normale.
Tutto merito di un batterio “made in Siena”: un probiotico geneticamente modificato, lontano parente di quelli che, in forma di yogurt, affollano gli scaffali dei supermercati. Basta qualche settimana di terapia per rieducare il sistema immunitario a non distruggere più l’insulina che il pancreas, naturalmente, produce, liberando così i malati di diabete da siringhe, cerotti di insulina e misuratori di zuccheri nel sangue.
«Fino a ora la sperimentazione sugli animali ha dato ottimi risultati – spiega il dottor Dotta, che ci tiene subito a precisare – ma passare agli esseri umani è tutto un altro discorso. Il nostro organismo è molto più complesso e imprevedibile nelle sue reazioni: sui topi ha funzionato, sugli uomini siamo fiduciosi, ma non abbiamo certezze».
Eppure le aspettative sono alte, per una ricerca la cui eco, dal Policlinico Le Scotte, è arrivata fin negli Stati Uniti, sul numero di aprile della prestigiosa rivista medica “Journal of Clinical Investigation”. Una terapia innovativa non solo negli ambiziosi fini che si prefigge, ma anche per la facilità con la quale, un domani, permetterà ai pazienti (soprattutto i più piccoli) di curarsi dal diabete di tipo I. Il batterio messo a punto dal professor Dotta e dalla sua equipe, infatti, si assume per via orale (semplicemente “si beve”) e potrà fungere sia da vaccino, prevenendo quindi l’insorgenza della malattia, sia da terapia, guarendo chi ne è già affetto. Un problema, quello del diabete di tipo I, che nel nostro Paese ha assunto col passare degli anni dimensioni enormi.
«Funzionerà? Se saremo fortunati potremmo saperlo già nel 2015» dice il diabetologo.
La certezza è che, se il successo dovesse arrivare davvero, il batterio creato dal professor Dotta potrebbe cambiare la vita di centinaia di migliaia di italiani. Di milioni di persone nel mondo.

 

da Commissione Europea