“Together for Progress”: Diabetes Exchange London 2025

Anche quest’anno ho partecipo al dX (dXLondon2025) organizzato da Abbott.
È l’undicesimo e io ho partecipato a 10 di questi incontri.
Con Patricia Santos, sono la più “vecchia” (in termini di partecipazione 😉).
Sono meeting sempre interessanti, piacevoli, dove puoi conoscere la realtà delle altre community europee.

Il tema di quest’anno era “Together for Progress” (Insieme per il progresso).

Tutti sappiamo che vivere con il diabete può essere impegnativo, può significare dover affrontare ogni giorno la pressione di continue decisioni che hanno un forte impatto sulla nostra vita.

Il focus delle varie sessioni era quindi tutto centrato sul come cercare di migliorare e rafforzare l’effetto che le nostre esperienze/testimonianze, di leaders e creators nella comunità diabetica, possono avere sugli altri, in modo positivo.

Dal mio punto di vista voglio sottolineare 2 aspetti generali:

  • odio quando mi/ci definiscono “influencer”. Spesso in questi incontri si finisce per usare questo termine, ma io credo che il movimento del “Language matters” dovrebbe cominciare proprio da qui.
    Comprendo la necessità di semplificare, eppure… io ci starei attenta.
    IO NON SONO UN’INFLUENCER! IO NON VOGLIO influenzare nessuno! Non vendo niente! Non voglio che nessuno faccia quello che faccio io, che penso io …
    In passato qualcuno usava il termine “blogger”: anche quello mi stava stretto, perchè in realtà, quello che ho sempre fatto è stato cercare di mettere a disposizione della comunità diabetica uno “spazio” in cui esprimersi liberamente, senza condizionamenti, giudizi.
    Non è importante ciò che dico io, ma quello che dite voi.
    Mi sono normalmente meglio “sentita” nel termine “advocate”, che ho utilizzato secondo un’interpretazione estensiva, ogni volta che nelle varie occasioni di scambio mi sono permessa di riportare le vostre voci, sempre precisando che il mio ruolo fosse solo quello di catalizzatore, di raccoglitore, di megafono, di quelle voci che voce non hanno.
    Ma questa è una mia riflessione.
  • l’importanza di questi incontri, di questi “scambi”.
    Da ognuno di questi eventi si impara tantissimo, si scoprono differenze interessanti e curiose, di come il diabete venga gestito e trattato nei vari paesi (abbiamo scoperto che la prima cosa che in Portogallo un diabetologo chiede al suo paziente durante la visita, sia se abbia misurato i chetoni dopo un’iper! Nel resto d’Europa, non se li “fila” nessuno).
    Devo dire che io quest’anno, da italiana, ho avuto la possibilità di “vantarmi” un po’, parlando sia della legge sullo screening, fortemente voluta dalla FID, che della legge marchigiana che prevede la capillare per ogni accesso pediatrico al PS, a prescindere dalla motivazione, entrambi grandi passi avanti per cercare di prevenire la chetoacidosi diabetica all’esordio.
    Tutti sono stati molto interessati ed ammirati.
    Ma soprattutto, con questi incontri, si rafforza il senso di comunità, e chi mi conosce sa che sia per me la cosa più importante: abbattere il muro dell’isolamento, della solitudine, dell’indifferenza, dello stigma, creare un mondo in cui sentirsi parte di un tutto.Riassumendo:
  • La Germania costituiva il gruppo più nutrito (con ben 9 leaders), seguita dall’Inghilterra con 6 e dall’Irlanda con 5; 4 olandesi e portoghesi, 2 francesi e 2 spagnole, 1 croato e 1 italiana (io).
  • Il sabato si è aperto sottolineando quanto sia inutile, fastidioso, dannoso procedere per stereotipi: siamo tutti diversi. Noi siamo tutti portatori di passioni, non di “dati demografici”.
  • È proseguito poi con l’emozionante testimonianza di Noortje de Brouwer, medaglia olimpica a Parigi, diagnosticata solo pochi mesi prima dell’appuntamento della vita.
    Ci ha raccontato di come, tutto sommato, proprio l’essere focalizzata sull’obiettivo, le abbia permesso di concentrarsi meno sull’esordio e considerarlo meno “importante” di tutto il resto. Dopo le olimpiadi si è ritirata a vita “privata”, ma ha deciso di impegnarsi come testimonial in un’associazione olandese.
  • Devo dire sinceramente che la sessione con Jeffrey Spivock è stata per me la meno interessante, non per l’indubbia qualità del relatore, nè tanto meno per l’eccellente contenuto: semplicemente non mi “riguarda”. Sempre tornando al concetto dell’influencer, e di ciò che ne consegue, proprio non mi appassiona. Troppo distante da me. Faccio fatica anche a vederlo come un mezzo per “raggiungere” più persone.
    Lo so, sono un po’  naïf, ma tutta la mia storia non è stata pianificata, programmata, studiata.
    Non lo diventerà ora. Lo so, i tempi cambiano, ma io no.
  • Il pomeriggio si è aperto con una sessione sui media, o meglio su come nei media (ma anche cinema, tv, serie) è visto e rappresentato il diabete: poco e male. 
  • Interessante la sessione con la dr Dorothy Frizelle e la particolare correlazione tra  psicologia e malattia cronica, e su quanto sia importante integrare il supporto psicologico all’interno della cura del diabete.
  • Infine la piacevole sessione conclusiva della giornata con Kamil, conosciuto come Nerdiabetic.
    In poche parole, la riassumerei con “Time in Happiness more than Time in Range”, che stressa quanto essere felici deve essere più importante dei meri numeri. Siamo esseri umani, non macchine.

Il giorno dopo, domenica 19, sempre Kamil Armacky, ci ha intrattenuto, con la sua consueta verve, sui chetoni: argomento in se non particolarmente allegro o affascinante, eppure Kamil ci é riuscito!

Abbiamo parlato di chetoacidosi diabetica, ed abbiamo scoperto che quasi nessuno in tutta Europa (!) controlla mai i chetoni!
Il Portogallo, a sorpresa, fa eccezione e, come già detto, si fa di routine.
Ho avuto modo allora di parlare di chetoacidosi diabetica all’esordio, ricordando il caso di Plinio, ma anche degli altri 5 bambini morti negli ultimi 10 anni, perchè a nessuno è venuto in mente neanche di fare un’analisi delle urine! Ho parlato della chetoacidosi diabetica legata alla diabulimia, e di quanto, purtroppo sia diffusa, anche all’interno della nostra community.
E abbiamo concluso che i media ne devono parlare! Noi possiamo farlo, ovviamente, ma noi ci rivolgiamo prevalentemente ad un’ audience già a conoscenza del problema: i media devono farlo per prevenire queste tragedie.

Ci siamo portati a casa 3 messaggi:

  • I medici devono parlare dell’importanza di misurare i chetoni per prevenire la chetoacidosi. 
  • Noi possiamo parlarne spiegando sintomi e cause (funzione educativa dei social) cominciando dai nostri parenti.
  • Come si può prevenire? Banalmente avendo sempre strisce con se, sapere cosa fare e dove andare in caso di chetoni alti. Importante perchè spesso neanche nei PS sanno che fare (questa l’esperienza raccontata da molti partecipanti).
    Ci siamo poi salutati, dandoci appuntamento all’anno prossimo!
    Bye bye Londra.

 

di Daniela D’Onofrio

 

 

 

Disclaimer: Sono stata invitata da Abbott a partecipare al Diabetes Exchange Forum Europeo 2025.
Le spese del mio viaggio sono state pagate da Abbott, MA le opinioni di questo post sono solo mie e non sono influenzate nè controllate da Abbott.