Lu, storia del mio diabete

Potrei scrivere la storia del “mio diabete” con ironia.. penso di saperlo fare e ciò mi aiuterebbe: metterei uno schermo tra me e “lui”.. se addirittura scrivessi facendo risaltare gli “aspetti positivi” della malattia potrei fare un piacere ai diabetici che leggeranno queste righe (io stessa mi aggrappo alle situazioni di persone che stanno bene nonostante il diabete: ciò mi spinge ad impegnarmi dopo ogni sconfitta e mi dà speranza). Se scrivessi col sorriso, poi, sarei gradita a tutti coloro che, confortati dall’idea che il coraggio e la serenità possono rafforzarsi nelle situazioni più difficili si sentirebbero… semplicemente meglio (e alla fine potrei crederci pure io…)
Il problema è che non sarei esattamente fedele a me stessa…
Così credo che la cosa migliore sia tentare di raccontare qualcosa di me e di questa banalizzata malattia (che tutto è, tranne che banale) in modo più “cronachistico”, cercando di guardare con un po’ di distanza il mutare del mio rapporto con il diabete a partire dai 13 anni fino ad oggi, che di anni ne ho 32.

1986, ho 13 anni
Mi trovo in ospedale. Sono diventata diabetica. Ho imparato subito a iniettarmi l’insulina e pungermi il dito per provare la glicemia. Dicono che sono una ragazzina coraggiosa, ma in realtà so di essere solo fortunata: l’anziana vicina di letto mi ha fatto vedere una pagina del quotidiano del giorno il cui titolo recita “Sconfitto il diabete!”. Che culo! Mi sono ammalata nell’anno giusto!

1987, ho 14 anni
Il fatto di dover portare con me insulina e macchinetta per provare la glicemia mi autorizza a indossare la borsetta! Comprerò una borsa bellissima, da ragazza vera!
Chiedo alla dottoressa se un giorno potrò assumere le pastiglie al posto dell’insulina. Lei esita, non ce la fa a dirmi di sì. Poi capisce che io so bene che ciò non è possibile e che ho bisogno che mi dica una bugia. Lei esita ancora e mi dice: “Bé, magari tra un po’ di tempo sì”.
La ringrazio ancora oggi per quella faticosa risposta.

1987, ho 15 anni
Le cose sembrano semplici: glicemia, sport, dieta, insulina, controlli e i risultati ci sono (ora so che mi trovavo ancora in “luna di miele”). Non mi mancano mai sorriso e adrenalina.

1988, ho 16 anni
Amori e glicemie entrambi instabili e travolgenti.

1989, ho 17 anni
Sto molto attenta, rinuncio a tante cose… penso che ogni comportamento porti a risultati conseguenti, che dietro alla malattia ci sia una logica e che agendo con razionalità non potrò avere brutte sorprese (ah ah ah!!!!)

1990, ho 18 anni
Nonostante il rigore le cose non vanno come dovrebbero. La dottoressa mi sgrida, aspiro alla perfezione e scoppio: mi abbuffo e poi cerco di rimediare con estenuanti maratone sotto il sole delle due del pomeriggio, pasti a base di pesce lesso e controlli disperati e continui. L’insulina poi fa ingrassare e non l’accetto. Anno difficile.

1991, ho 19 anni
Cerco di essere più morbida con me stessa. Accetto le inevitabili glicemia alte, accetto di poter cedere talvolta alla golosità. Capisco che a tratti devo privilegiare la salute psicologica a quella fisica. Pian piano le cose si riaggiustano e il corpo torna il mio..

1992, ho 20 anni
E’ incredibile quanto la mia difficile, contraddittoria, mutevole malattia sia diversa da quella consequenziale, prevedibile, razionalmente gestibile che mi raccontano e descrivono i diabetologi.
Mi sento sbagliata io. Cerco affannosamente le parole e le esperienze di altri diabetici. Trovo resistenze, ma anche sfoghi. Io non sono sbagliata.

1993, ho 21 anni
All’università sono molto tranquilla prima degli esami: sono talmente occupata a gestire la glicemia, a conciliare cibo, orari imprevedibili e insulina in modo da non avere né iperglicemie né ipoglicemie nel corso dell’interrogazione, che non potrei avere anche preoccupazioni riguardo a ciò che ho studiato: mi scoppierebbe il cervello.

1994, ho 22 anni
Tutte le volte che non capisco e non gestisco i valori e i profili glicemici mi incazzo.

1995, ho 23 anni
Ho smesso di incazzarmi. Mi sono intristita.

1996, ho 24 anni
Molti momenti quotidiani diventano così difficili… la stanchezza, lo sforzo mentale e fisico mi fanno alzare imprevedibilmente la glicemia… mi sento di vivere coi freni.

1997, ho 25 anni
Dopo un anno di fidanzamento G.V. mi dice: “Lo sai, il fatto di aver saputo che eri diabetica mi ha fatto avvicinare a te, con i problemi che hai ti ho vista più gestibile, meno incline a farmi le corna, più limitata, più disposta ad appoggiarti a me e a non lasciarmi..”. L’ho lasciato

1998, ho 26 anni
Il fidanzato C.C. mi insegna ad amare la montagna. Lui rifiorisce nelle lunghe camminate, io mi arrabatto tra spuntini, abbassamenti e picchi glicemici vertiginosi, iniezioni molteplici, soste forzate. So di diabetici che scalano l’Himalaia e quindi insisto a scalare almeno gli Appennini. Le prove durano un anno, non riesco a gestire le glicemia per più di 1h. e 30. Rinuncio. Rinuncio anche al fidanzato montanaro.. ma qualche tempo dopo.

1999, ho 27 anni
Mi viene in mente una frase che una giovane donna diabetica appena sposata in seconde nozze disse a mia madre ai tempi del mio ricovero: “ho divorziato dal primo marito perché andava d’accordo con me, ma non con il mio diabete. Se si è diabetici bisogna trovare uno che vada d’accordo con il tuo diabete: in pratica è un rapporto a tre, dove il terzo è antipatico e detta legge”. Per anni ho pensato che la signora fosse una povera frustrata, oggi penso che un fondo di verità c’era….

2000, ho 28 anni
Ho voglia di cambiamenti reali: inizio a informarmi e a parlare con chi, nei vari ospedali in Italia, si occupa di ricerca e di trapianti.
Il fidanzato C.C. mi segue come una nuvola amorosa, anche se il cammino è solo ed esclusivamente mio.

2001, ho 29 anni
Il trapianto non è ancora per me.

2002, ho 30 anni
Primi segni di retinopatia. Mi crolla il mondo addosso: devo ricostruire l’immagine che ho di me. Avevo sempre creduto che la mia ostinazione e i miei continui sforzi mi avrebbero resa impermeabile agli attacchi delle complicanze. Mi sbagliavo.

2003, ho 31 anni
Alle visite oculistiche mi è indispensabile l’appoggio del fidanzato E.C. La paura in quei momenti mi fa provare la nuova e terribile sensazione di essere sola. Se non gli stringessi la mano scapperei dall’ambulatorio.

2004, ho 32 anni
• Ogni volta che mangio qualcosa eseguo le seguenti operazioni: mi provo la glicemia. Faccio mentalmente il calcolo dei carboidrati che assumerò, guardando la qualità e la quantità del cibo. Tralascio solo l’acqua. Trasformo i carboidrati in numero di unità di insulina. Aggiungo unità proporzionalmente al livello di glicemia. Aggiungo o tolgo unità a seconda del fatto che abbia mangiato più o meno negli ultimi giorni, a seconda dell’attività fisica che svolgerò nell’ora successiva, a seconda del fatto che mi senta più o meno stanca (e potrei continuare ancora considerando innumerevoli variabili). Alla fine mi inietto un tot. di unità di insulina e spero di averci azzeccato e di star bene almeno per un’ora.
E pensare che non ho mai desiderato diventare ragioniera.. né equilibrista…

• Continuo a parlare in mailing-list con altri diabetici e con chi per i diabetici si batte. Si respira la spinta a lottare, si parlano mille linguaggi e un’unica lingua, ci si informa, ci si riconosce, si diventa reciprocamente indispensabili…
• Penso alla ricerca e oscillo tra commozione e amarezza (quanti ostacoli tutt’altro che nobili, quanta ignoranza..).
Mi batto perché qualcosa cambi, perché la legge che non consente la ricerca sulle cellule staminali embrionali venga cambiata…

Il mio futuro
Per ciò che riguarda il mio futuro..il mio sguardo arriva fino a domani…al massimo, se fuori splende il sole, la glicemia è giusta e lo specchio mi dice che oggi sono bella…posso spingermi fino a dopodomani….