La chetoacidosi diabetica

Sebbene in questi ultimi anni si siano compiuti notevoli passi avanti nelle conoscenze sull’epidemiologia, diagnosi e terapia del diabete mellito tipo 1 (DMT1), la chetoacidosi diabetica (DKA) rimane una complicanza acuta ancora oggi piuttosto frequente.
La sua manifestazione è causata dalla riduzione dell’insulina circolante e dal conseguente aumento degli ormoni della controregolazione (glucagone, catecolamine, ormone della crescita, cortisolo); la carenza di insulina determina eccessiva produzione epatica di glucosio, che non viene utilizzato dai tessuti periferici, provocando iperglicemia. L’organismo cerca di far fronte a questa emergenza metabolica utilizzando i grassi (lipolisi), dal cui consumo originano i corpi chetonici che possono portare all’acidosi metabolica, con alterazione del sensorio fino al coma. La DKA può presentarsi sia all’esordio, sia nel decorso successivo del diabete.
Nel primo caso è più comune nei bambini più piccoli (età prescolare), in coloro che non hanno familiari affetti da T1DM e in quelli di basso ceto socio-culturale. Nel caso di diabete già diagnosticato e trattato, il rischio di DKA è aumentato nei bambini e adolescenti con scarso controllo metabolico, nella fase di attivazione puberale e nei soggetti con problematiche familiari. Uno scorretto utilizzo del microinfusore oppure l’omissione volontaria delle dosi di insulina o dosi di insulina inadeguate durante malattie intercorrenti, rappresentano altre frequenti cause di DKA. La complicanza più grave nonché la più frequente causa di morbilità e mortalità per DKA è sicuramente l’edema cerebrale; molti studi hanno confermato una maggiore incidenza e gravità dell’edema cerebrale in pazienti all’esordio, di più giovane età e con più lunga durata di sintomi.
La DKA rappresenta pertanto una condizione potenzialmente pericolosa per i bambini e adolescenti con T1DM e la sua evoluzione è strettamente legata alla tempestività e alla adeguatezza delle cure. Obiettivo dei pediatri diabetologi è quello di sensibilizzare i colleghi che lavorano sul territorio, le famiglie e possibilmente gli operatori scolastici sulle caratteristiche di questa condizione che non solo dovrebbe essere trattata secondo linee guida precise e condivise, ma anche prevenuta.
La prevenzione della DKA si basa in primo luogo sulla diagnosi precoce di T1DM: i dati anamnestici di poliuria e ripresa dell’enuresi notturna, sete intensa, dimagramento sono segni inequivocabili che richiedono l’esecuzione di un esame urine con ricerca di glucosio e corpi chetonici e di una glicemia. La presenza di glicosuria e chetonuria e di glicemia in genere superiore a 126 mg/dl (ma spesso nettamente più elevata) lasciano pochi dubbi sulla diagnosi di T1DM. È ormai universalmente riconosciuta l’importanza di effettuare campagne di sensibilizzazione fra i pediatri di famiglia e le scuole. A Parma, il Professor Maurizio Vanelli ha dimostrato che è possibile ottenere una significativa riduzione degli episodi di DKA all’esordio di T1DM attraverso l’affissione di poster che identificano i sintomi iniziali del diabete.
La prevenzione della DKA nei pazienti già diagnosticati e nelle loro famiglie va invece attuata attraverso continui interventi educativi che li motivino all’adesione verso le norme terapeutiche. Una particolare attenzione va riservata al gruppo dei bambini piccoli, più soggetti a infezioni intercorrenti che possono portare a chetosi e DKA e al gruppo degli adolescenti, soprattutto se in scarso compenso metabolico: in questi casi è opportuno attuare programmi educativi e attivare linee telefoniche di aiuto (“telephone-care”). Infine è necessario citare i bambini e adolescenti in terapia con microinfusore: una rigorosa educazione sui rischi di DKA che la terapia può comportare per l’occlusione delle cannule e/o cateteri, deve essere uno dei compiti del diabetologo che decide di proporre questo tipo di terapia insulinica. In conclusione la prevenzione della DKA, la riduzione della sua incidenza e la migliore e aggiornata gestione clinica sono obiettivi primari nella cura dei bambini e adolescenti con T1DM.

 

Ivana Rabbone
SCDU Endocrinologia e Diabetologia
Dipartimento di Scienze Pediatriche
e dell’Adolescenza Università di Torino

 

da Diabete Giovani