Io sono diabetica di tipo 1

di Francesca Ulivi

Non dire che sei malato. Non dire che sei diverso. Per carità, no, è una vergogna dire che sei invalido, disabile o peggio handicappato, una macchia, un’onta.
Ci sono persone – rappresentanti di associazioni a tutela dei malati – che da una settimana stanno facendo una battaglia culturale al contrario con la finalità di modificare o affievolire diritti esistenti come la 104 per i familiari dei bambini diabetici di tipo 1 o negare l’invalidità per i diabetici di tipo 1 adulti. Una battaglia dai contenuti culturalmente assurdi e anacronistici, legalmente e civilmente senza senso, i cui veri motivi sono oscuri. 
Da una settimana la comunità diabetica online sta combattendo contro queste persone con la paura di non poter far nulla, perché i rappresentanti dei nostri interessi sono loro e loro hanno accesso ai tavoli istituzionali. Le loro proposte sono tuttora poco chiare, ma le loro convinzioni che a tratti sfociano in insulti ai malati e ai genitori dei piccoli malati sono evidenti. Non li riporterò qui. 
Qui voglio riportare una storia che racconta perché un diabetico di tipo 1 è dal punto di vista medico prima (e poi giuridico) invalido e disabile. 
Premetto (per chi non sa) che io sono diabetica di tipo 1, ho una malattia grave, cronica e degenerativa (così è definita dalla medicina) che mi permette di rimanere in vita solo e unicamente perché mi inietto insulina. L’insulina che inietto non mi mette al riparo dalle complicanze, a loro volta letali. Un organo vitale del mio corpo non funziona, il mio cervello lo deve sostituire come può decidendo le dosi da iniettare costantemente. Per far capire a chi non ha questa malattia, che per fortuna colpisce in Italia solo 300 mila persone è come se continuamente doveste dire al vostro cuore come battere perché lui non lo fa da solo, perché il pancreas non si attiva solo quando si mangia, ma ha un’attivazione continua, che cambia a seconda delle necessità del fisico e a seconda dell’attività degli altri ormoni, oltre ad avere a che fare con fattori esterni come il caldo o il freddo ad esempio. Sbagliare dose può voler dire finire in coma (troppa insulina) nel giro di manciate di minuti o finire in coma (poca insulina) nel giro di qualche settimana o mese. Tenere la glicemia dentro range concessi è un equilibrismo complicatissimo per chi non secerne la sua insulina e non avere la glicemia nei range alla lunga porta le complicanze (tutte molto invalidanti e alcune mortali). Per questo sono invalida, per questo i genitori dei bambini diabetici di tipo 1 usufruiscono della 104 perché i piccoli diabetici di tipo 1 non possono gestire autonomamente la terapia, che è continua, e hanno bisogno dei genitori, h24, 7 giorni su 7. Per questo i ricercatori di tutto il mondo stanno cercando una cura al diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che non è possibile prevenire e da cui non si guarisce.

 

Questa è la storia di Elisa Davoglio, la storia di ogni diabetico di tipo 1.

Ho scoperto di avere il diabete in maniera traumatica.
12 anni, coma diabetico, ripresa per i capelli. Il pediatra aveva certificato pochi giorni prima la mia anoressia nervosa, ignorando il fatto che io stessa gli avessi detto che avevo il diabete. 
Perché lo avevo scoperto da sola consultando l’enciclopedia medica; facevo tanta pipì, avevo sempre sete, bevevo in continuazione, e non mi reggevo in piedi.
I sintomi c’erano ma il pediatra disse, beviti una coca cola o un gatorade, se hai chetoni nelle urine; sarà acetone.
Già, andava di moda i gatorade. Sono caduta per terra durante la corsa campestre a scuola e non mi svegliavo più.
Dopo, la mia storia è simile a quella di tanti altri. Solo che, da allora, ho sempre avuto paura di morire in quel modo, riprovando quelle sensazioni devastanti del coma in chetoacidosi. Mi ricordo, che ero una ragazzina e pensavo, se viene una guerra, e bloccano le industrie, e non possono rifornirmi di insulina? Tutto, per me, è andato abbastanza bene. Tante cose realizzate, persino due bellissimi ragazzini, e si, ho fatto più o meno ciò che volevo nella mia vita. Il limite però, non è fare questo o quello. Non riuscire a nuotare due ore di fila, gli zuccheri sempre sparsi ovunque, e il fatto che ci sono state delle ipo imprevedibili che mi hanno piegato le gambe, imbarazzato, fatto svenire in mezzo a gente che menomale leggeva il braccialetto “è diabetica, diamole dello zucchero”. Il limite che mi rende invalida, è quello di non poter spostare il pensiero da ciò che mi tiene in vita, senza il quale morirei in breve tempo, e diciamolo, pure tra sofferenze atroci. 
Attorno all’insulina e ai suoi dosaggi, ruota tutta la mia vita. Sarò anche brava, avrò la glicata a 6 e nemmeno una complicanza o quasi. Ma questo è il fatto, e penso quanto debba essere duro per dei genitori con dei bambini diabetici.. io, ho il terrore che i miei figli possano diventare.. come me. Fare i conti con il fatto che il tuo corpo viaggia al ritmo, spesso sfuggente, dei rapporti tra emozioni, carboidrati, movimento, malattia, stress, dolore psicologico, dolore fisico. 
E rido con amarissima ironia, pensando che ora abbiamo il lusso di dire che non siamo invalidi, noi tutti, che i bambini possono non esserlo, per salvaguardarli da traumi futuri… cronicità e non disabilità.
E mi rivedo bambina, e provo lo stesso brivido di ansia e dolore, io che dovrei avere solo una condizione cronica, che si può ammansire con qualche buchino.. , non sei invalido, no.
Solo, che senza questo non puoi vivere.