Il workshop di Meridiano Sanità. Tra 2003 e 2013 casi diabete in Italia da 2,4 a 3,6 mln. Il bilancio a due anni dal Piano nazionale

Nel dicembre 2012 il Governo e la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome definivano il ‘Piano per la malattia diabetica’, con l’obiettivo di migliorare l’assistenza, garantire un incremento della prevenzione, sostenere l’innovazione e ottimizzare le risorse. Due anni dopo, il workshop ‘Meridiano Sanità – Diabete 2020’, organizzato dall’European House Ambrosetti e da Meridiano Sanità, con il contributo di Merck, ha fornito un’occasione di confronto tra le istituzioni e gli stakeholders, per tracciare un bilancio, evidenziare i miglioramenti raggiunti e proporre soluzioni per le criticità ancora aperte. In questi 24 mesi tutte le Regioni hanno recepito il Piano, a eccezione di Friuli Venezia Giulia, Valle D’Aosta e delle Province Autonome di Trento e Bolzano.

In Italia la prevalenza del diabete diagnosticato, dal 2003 a oggi, ha registrato un aumento del 35%, anche se i dati dell’Italian Diabetes Monitor indicano un’incidenza ancora maggiore, pari a 6,2 casi ogni 100 abitanti. Le cifre snocciolate da Emiliano Briante (Senior Consultant dell’European House Ambrosetti), nel corso della sua relazione, evidenziano inoltre che i casi di diabete in Italia sono saliti da 2,4 a 3,6 milioni, ai quali occorre aggiungere almeno 1 milione di non ancora diagnosticati. Entro il 2030 si stima un balzo fino a 6,1 milioni di pazienti diabetici, con un tasso di prevalenza del 9,3%.
Allo stato attuale l’età media è di 67 anni, ma 1 su 4 risulta ancora in età lavorativa oppure va a scuola, con importanti ricadute sulla produttività. In Italia esiste un gradiente geografico e sociale associato al diabete: maggiore prevalenza al Sud e tra la popolazione con basso livello di scolarità. Quest’ultimo aspetto è strettamente legato al tema della bassa prevenzione che, a sua volta, chiama in causa gli stili di vita. L’11,2% della popolazione italiana (circa 4,9 milioni) è obesa e il 34,2% (circa 17,6 milioni) è in sovrappeso. Si tratta di due fattori che accomunano l’80% dei pazienti diabetici.

Nel complesso l’impatto dei diabete sull’assistenza sanitaria e sui costi è notevole. La letteratura evidenzia come 1 paziente con diabete su 4 si ricoveri almeno una volta nel corso di 12 mesi. E il rischio di ricovero in ospedale è da 1,5 a 2,5 volte più alto in presenza di diabete. Il costo medio per diabetico è di circa 2.600-3.100 euro l’anno, più del doppio rispetto agli altri pazienti. Cifre che salgono in maniera astronomica se si aggiungono complicanze renali (14.500) o infarto del miocardio (15.100). I costi delle ospedalizzazioni incidono enormemente, in quanto rappresentano il 57% del totale, mentre l’impatto delle terapie non supera il 7%. Generalmente il costo di un ricovero ordinario viene stimato attraverso il Drg ma la Sid, utilizzando il costo medio di un ricovero in base a quanto riportato dal Ministero della Salute, stima un valore medio pari a 4mila euro e un costo complessivo per i ricoveri di 9,6 miliardi l’anno.

“Questi dati – ha riferito Briante – vanno poi inseriti in un contesto in cui l’aumento della longevità non è accompagnato da un incremento degli anni vissuti in buona salute. Tra 2004 e 2012, infatti, il numero do anni attesi non in buona salute è quasi raddoppiato, passando da 12,8 a 23,3 per le donne e da 9,2 a 17,7 per gli uomini”.

In questo contesto la recessione esercita un impatto devastante, “considerando che nel prossimo triennio la riduzione della spesa sanitaria sarà notevole e inciderà ampiamente sul Ssn – ha prefigurato Maria Rizzotti(FI) – L’allarme però riguarda già l’attuale legge di Stabilità, che comporta una contrazione di 500 milioni per la ricerca sanitaria. Un elemento, che penalizzerà enormemente i pazienti diabetici e quelli affetti da Sla, cui si aggiunge il taglio di 1 miliardo ipotizzato dalle Regioni per farmaceutica ospedaliera e territoriale”. Per quanto concerne il diabete “serve una riflessione profonda, imperniata su un approccio multidisciplinare che garantisca appropriatezza diagnostica e prescrittiva”. Fondamentale poi puntare sul vettore della prevenzione, “intervenendo soprattutto sull’obesità infantile”. Altro aspetti dirimente “è legato all’aggiornamento della classificazione dei dispositivi medici, poiché lasciando inalterata la nomenclatura si continuerà a spendere male”.

Il Piano nazionale per il diabete “costituisce comunque un importantissimo punto d’arrivo – ha sottolineatoIgnazio Parisi, consigliere nazionale Fand (Associazione italiana diabetici) – Forse è ancora presto per tracciare un bilancio complessivo, ma un punto di forza è certamente la maggiore partecipazione dei cittadini all’interno delle associazioni che ha rappresentato uno stimolo per rafforzare la formazione e che ha garantito una migliore conoscenza scientifica della materia. Questa rafforzata consapevolezza ha permesso di individuare le criticità e di focalizzare gli ambito in cui si è registrato un mancato rispetto dei Lea. Altro merito del Piano è stato quello di “aver contribuito a implementare la medicina integrata”. L’aspetto carente riguarda, invece, “l’aspetto organizzativo che si è caratterizzato per la lentezza decisionale, da cui è scaturita la difficoltà ad assecondare l’innovazione”.

Una sfida decisiva lanciata dal Piano è quella dell’integrazione interdisciplinare che “però non è avvenuta di fatto – ha constatato Paolo Di Bartolo, delegato della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome – Al contrario, la presa in carico è stata gestita per compartimenti stagni. Il Piano impone di cambiare questo paradigma, per esempio valorizzando le Aggregazioni funzionali territoriali (Aft) o le Case della Salute, che devono essere complementari alle 1007 strutture diabetologiche presenti sul territorio italiano. In questo senso, Modena rappresenta un esempio di virtuosa integrazione tra ospedale e territorio: tra 2011 e 2013 i pazienti sono saliti da 12mila a 18mila, grazie a un miglioramento della farmacovigilanza e dell’appropriatezza, con uno Score Q medio salito da 29,3 a 31”.

Tuttavia l’attuazione “ha scontato molteplici e notevoli differenze tra le varie Regioni e sarebbe quindi ora di trovare denominatori comuni per stabilire standard omogenei di qualità assistenziale – ha auspicato Nicola Pinelli, direttore Fiaso – E per definire un modello italiano della cronicità sarebbe importante che le aziende sanitarie diventino garanti di un processo di omogeneizzazione della qualità assistenziale”. Un punto di partenza “potrebbe consistere nel capire le differenze tra i territori, puntando sugli elementi di forza locali per metterli a sistema. E il Piano fornisce un’occasione irripetibile in questo senso, poiché oggi emergono grosse diversità organizzative anche all’interno della stessa Regione”.

A due anni di distanza dalla sua istituzione, “il Piano non ha però ancora garantito una spinta sufficiente – ha osservato Francesco Chiaramonte, consigliere nazionale dell’Associazione medici diabetologi (Amd) – E’ necessaria una profonda riorganizzazione al livello del territorio, mettendo in rete le diverse figure professionali e puntando sui percorsi diagnostico assistenziali (Pdta). Questi ultimi rappresentano infatti i migliori strumenti clinico-organizzativi per una efficace applicazione dei profili di cura”. I Pdta devono “essere pensati dalle singole aziende, sulla base delle risorse a disposizione, promuovendo una responsabilizzazione dei direttori”. Allo stesso tempo “è fondamentale evitare il rischio che nelle Case della Salute vengano svolte attività già garantite altrove. Queste strutture dovrebbero caratterizzarsi per l’erogazione di screening della popolazione a rischio e per la la promozione dell’assistenza domiciliare”.

L’aspetto più preoccupante è quindi “la modalità di applicazione del Piano nelle singole Regioni, che consenta un’integrazione sul territorio anche a livello socioassistenziale – ha ragionato Gerardo Medea, responsabile nazionale dell’area endocrinologica e diabetologica della Simg –I medici di famiglia affrontano circa 7 milioni di contatti diabetologici l’anno e quindi le Regioni devono creare le migliori condizioni per il loro lavoro”. Contestualmente le società scientifiche “devono mettere nero su bianco i bisogni dei pazienti con diabete e inserirli nei percorsi locali. Si tratta, purtroppo, di un lavoro che ancora non è stato fatto”. Le strutture sul territorio “non possono, infatti, costituire la duplicazione dei Centri di diabetologia. Le Regioni ragionino quindi organicamente con i professionisti, in modo lineare e senza iniziative fantasiose”.

Per liberare risorse da destinare all’innovazione in diabetologia è imprescindibile ridurre le prescrizioni inappropriate. E’ la rotta tracciata da Simona Frontoni, responsabile Endocrinologia e Diabetologia del Fatebenefratelli di Roma, che ha illustrato una ricerca condotta da Enzo Bonora (presidente Sid). A livello clinico il diabete costituisce la seconda causa di cecità e di emodialisi, la prima di amputazione non traumatica e la concausa maggiore di Ictus. E le cifre sono impressionanti: in Italia ogni 20 minuti una persona muore a causa del diabete, ogni 90 minuti subisce un’amputazione, ogni 7 minuti ha un attacco cardiaco e ogni 30 minuti ha un ictus.

In termini di costi, le spese maggiori per i diabetici riguardano i ricoveri ospedalieri (68%), poi i farmaci per comorbidità o complicanze, quindi le visite specialistiche e gli esami di laboratorio (10%), i farmaci anti-diabetici (4%) e i presidi (4%). Basterebbe ridurre di 1 giorno la degenza media di una persona con diabete ricoverata per altra patologia (95% dei ricoveri), per ottenere un risparmio di quasi 1 miliardo l’anno. Un diabetologo costa circa 80mila euro l’anno e può fornire circa 5mile consulenze a diabetici ricoverati. Le circa 2,4 milioni di consulenze necessarie per i circa 1,2 milioni di diabetici ricoverati in Italia richiederebbero circa 500 ulteriori diabetologi da mettere nella rete italiana che costerebbe circa 40 milioni l’anno. Per risparmiare 1 miliardo, sarebbe quindi sufficiente investire 40 milioni.

Purtroppo però “i diritti in crescita e la recessione economica che determina crescenti tagli non sono conciliabili – ha affermato Pierpaolo Vargiu (SC), presidente della Commissione Affari Sociali della Camera – Per attuare una seria spending review bisogna, in ogni caso, affermare l’idea della misurazione in termini di performance e di obiettivi”. Il punto centrale “non attiene però soltanto all’allocazione delle risorse, ma riguarda anche riforme strutturali che assicurino un’integrazione diversa con il privato accreditato, nuove modalità di compartecipazione dei cittadini e una rivisitazione del concetto di universalismo”. Un nuovo approccio “che andrebbe introdotto anche alla luce del fatto che, oltre a un ulteriore allungamento della vita, sarebbe auspicabile anche un’estensione del lasso di tempo libero da malattie. E il diabete rappresenta esattamente l’incarnazione paradigmatica di tutte queste dinamiche, richiedendo in primis un deciso rafforzamento della prevenzione”.

Un approccio condiviso pienamente da Emanuela Baio, Presidente del Comitato nazionale per i diritti della persona con diabete. “Il diabete è il paradigma della cronicità e, infatti, è l’unica malattia che in Italia è stata oggetto di leggi ad hoc. Serve tuttavia un maggior interesse della politica e da parte nostra una migliore capacità di interloquire con le commissioni che si occupano di sanità e di finanza, poiché non è più accettabile che il risparmio venga spalmato in modo così grezzo”. Un efficace “processo di razionalizzazione è possibile, ma va implementato mettendo al centro il milione di pazienti diabetici non ancora diagnosticati”.

La spending review è ormai un dato acquisito, ma “non può determinare un minore attenzione per quanto riguarda gli investimenti – ha messo in guardia Lorenzo Becattini (Pd), deputato in Commissione Affari Sociali – finalizzati a promuovere un corretto regime alimentare e uno stile di vita sano tra i bambini, sin dalla tenera età”. In prospettiva “sono fiducioso che nel 2015 verranno attuate strategie incisive per il diabete. Il lavoro parlamentare procede a pieno ritmo come dimostra l’istituzione, formalizzata lo scorso 12 novembre, di un intergruppo ad hoc tra Camera e Senato. Io mi impegnerò affinché venga considerato, con particolare attenzione, il rapporto tra diabete e posto di lavoro”.

Prioritario tenere sempre alta l’attenzione, “perché l’impressione è che negli ultimi due anni ci sia stato un rallentamento – ha spiegato Antonio Tomassini – Presidente dell’Associazione di iniziativa parlamentare e legislativa per la salute e la prevenzione – E questi ultimi giorni ne sono ulteriore testimonianza perché non si può, come ipotizzato dalle Regioni, tagliare un miliardo alla farmaceutica”. La politica “deve essere responsabilizzata e coinvolta in un network complessivo, in grado di elaborare e fornire indicatori precisi da utilizzare come base per qualsiasi decisione e intervento”.

 

di Gennaro Barbieri

 

da quotidianosanità.it