Il trapianto di pancreas: un’opzione terapeutica

Il 9 ottobre 2004 si e’ tenuta a Pisa, presso l’Ospedale Cisanello, relatori i Professori Ugo Boggi e Piero Marchetti, la Dottoressa Rosa Giannarelli e il Dr Fabio Vistoli la conferenza avente per oggetto:

IL TRAPIANTO DI PANCREAS: UN’OPZIONE TERAPEUTICA.

Alle 16.30, alla presenza di molti diabetici e loro familiari, provenienti da ogni parte di Italia, Daniela D’Onofrio, organizzatrice dell’evento ha preso la parola per ringraziare i Professori Boggi e Marchetti per aver accettato l’invito, nonche’ tutti i partecipanti per la risposta entusiasta a tale incontro.

“Voi sapete come e’ nato questo incontro: dovevamo solo trovarci tra di noi, scambiarci le nostre opinioni, le nostre paure, le nostre speranze, in ricordo di un amico pisano che non c’e’ piu’; poi i professori Boggi e Marchetti, entusiasti e disponibili, hanno accettato il mio invito ad informarvi su questa opzione terapeutica che e’ il trapianto di pancreas e…. siamo qua.

Il professor Marchetti fara’ un’introduzione, in cui vi spieghera’ quando e’ opportuno, quando e’ consigliabile per un diabetico pensare al trapianto, il professor Boggi vi spieghera’ la parte chirurgica e del post trapianto, infine la dottoressa Giannarelli trattera’ gli effetti che il trapianto ha sulle complicanze ormai instaurate nel diabetico.
A fine relazione, il dottor Vistoli rispondera’ alle domande del pubblico.

Io lascerei quindi subito la parola al professor Marchetti, ringraziandolo tantissimo, ringraziando il professor Boggi, la dottoressa Giannarelli e il dottor Vistoli per la loro gentilezza e per averci messo a disposizione la loro grande professionalita’ “

Prende la parola il Professor Piero Marchetti:

“ Grazie Daniela, e come scrive nelle sue email dal Venezuela: “Saludos y besos”.

E’ un’emozione, sempre, avere a che fare direttamente con persone che guardano a noi, come diceva Daniela, con la speranza di poter affrontare, auspicabilmente di risolvere, un problema che tanti diabetici ha segnato, o che sta segnando la propria vita.

Il senso di questo incontro e’ di scambiarci informazioni, conoscenze: voi avete la vostra esperienza, noi abbiamo la nostra, le mettiamo insieme in questo contesto e cerchiamo di capire dove e se, eventualmente e’ possibile, trovare un punto di raccordo, un punto in comune.

Il primo concetto che va messo sul piano della discussione e’ che il diabete sta diventando una malattia che sta diventando sempre piu’ importante e dal punto di vista del gruppo delle persone che sono affette da questa situazione e dal fatto che, pur nella sua eterogenicita’, colpisce nel nostro paese attualmente, quasi 2 milioni di persone: nel 2025 saranno 2 milioni e mezzo le persone affette da diabete in Italia e nel mondo saranno 300 milioni.
Il 10% circa di queste situazioni, sono situazioni che prendono il nome di diabete tipo 1, diabete insulinodipendente: cosa intendiamo?

Paul Langerahns, ancora studente di medicina veterinaria, sezionando il pancreas di cadaveri che arrivavano in istituto, noto’ delle strutture rotondeggianti all’interno del pancreas che chiamo’ isole.
Noi abbiamo circa un milione di queste isole nel nostro pancreas: (in una foto) il colore marrone rossatro sta ad indicare la presenza di insulina; sono queste, le beta cellule, le cellule produttrici di insulina, che nel diabete tipo 1 si ammalano. E perche’ si ammalano?
Perche’ per motivi non ancora del tutto chiari, succede che alcune cellule del nostro sangue, i linfociti, che sono importanti perche’ ci proteggono dalle infezioni e dalle altre malattie, entrano nelle cellule, le aggrediscono e infine delle cellule che producono insulina non rimane piu’ niente.
Altre cellule insula sono ancora vive, ma le cellule beta, quelle che producono insulina, non ci sono piu’.
Ed e’ chiaro che essendo l’insulina un ormone vitale, indispensabile per la vita di ciascuno di noi, se questo ormone non siamo in grado di produrlo, e non c’e’ nessuno che ce lo da, muoriamo: e di diabete di tipo 1, fino al 1920 si moriva.

Fino a che Banting e Best, lavorando in un laboratorio che al confronto di quelli che abbiamo oggi, sembra quello del Dr Jeckill quando faceva i suoi esperimenti, comunque in un laboratorio del genere…riuscirono a tirar fuori da un pancreas insulina prima di cane e poi di altri animali e cominciarono ad iniettare insulina nei bambini, nei giovani adolescenti, nei giovani adulti che avevano questa malattia.
Best e Banting furono insigniti del premio Nobel per la medicina per questa loro scoperta.

Si penso’ che il problema fosse risolto: abbiamo l’insulina, si fa qualche iniezione, ma il fatto che stiamo a parlare qui di queste cose fa capire che in realta’ passi avanti ne abbiamo fatti tanti, ma la soluzione non ce l’abbiamo ancora tra le mani.

Ed ecco perche’ il trapianto come opzione del diabete, perche’ al momento attuale l’opzione trapiantologica e’ l’unica che puo’ consentire la normalizzazione della glicemia senza necessita’ di terapia insulinica esogena, cioe’ attraverso le iniezioni o altri metodi di somministrazione.
E sappiamo anche che da questo punto di vista si puo’ parlare di pancreas o di isole.

Oggi noi parleremo di pancreas, ma una diapositiva sulle isole ve l’ho voluta portare, perche’ a prescindere da quello che leggiamo sui giornali, che si dice in tv, il trapianto di isole – e questo non lo dice Piero Marchetti qui – ma lo dice l’American Diabetes Association, che e’ il massimo livello tecnico di conoscenza e serieta’ da questo punto di vista, dice che
“IL TRAPIANTO DI ISOLE DEVE ESSERE CONSIDERATO ANCORA PROCEDURA SPERIMENTALE “

Quando i centri parlano di successo si parla di 5-6-7 trapianti su un totale di non si sa quanti: e’ senz’altro una situazione che merita attenzione, che merita ricerca, che merita studio, ma che non e’ ancora una soluzione clinicamente fruibile.

E perche’ si parla allora di pancreas e, soprattutto quest’oggi, di pancreas isolato?
(mostrando una diapositiva tratta dall’IPTR)
Se voi guardate la linea verde chiara, ci si accorge che col passare del tempo la sopravvivenza dell’organo trapiantato a 3 anni e’ andata progressivamente crescendo, dal 40% su su fino al 90%: quindi e’ una soluzione terapeutica vera, reale: insomma, vale la pena farlo, e’ una cosa di cui, in determinate condizioni, il diabetico puo’ usufruire
Si puo’ pensare al trapianto di pancreas isolato, ovviamente nel diabete tipo 1, in qualche caso anche nel diabete tipo 2, questo se volete lo potremo riprendere in discussione, quando la qualita’ della vita e’ difficile, e’ sofferta, quando il diabete tipo 1 si associa ad un controllo instabile – ipoglicemia, 300-350 di glicemia, e comunque tutte le volte che c’e’ un disagio personale importante – tale per cui si puo’ cercare una soluzione di questo tipo, e soprattutto quando sono presenti gia’ in fase iniziale, ma in evoluzione, complicanze diabetiche.

Nel 90% dei casi, a 3 anni, abbiamo glicemie normali in tutto l’arco della giornata, abbiamo un’emoglobina glicosilata che torna sotto quel famoso 6, ma abbiamo anche altri parametri lipidici: colesterolo totale, colesterolo LDL – sapete quanto pericoloso sia il colesterolo LDL per tutti noi – quindi ci sono degli effetti estremamente positivi del trapianto di pancreas sulle complicanze diabetiche.

E tutto questo fa si’ che il trapianto di pancreas isolato cominci a dare effetti anche sulla spettanza di vita; sulla qualita’ della vita’ce lo immaginiamo, e’ evidente cosa voglia dire non doversi fare piu’ insulina, mangiare quando si vuole, saltare un pasto… diverso e’ dire se la procedura puo’ prolungare la spettanza di vita.
( Viene mostrata una diapositiva tratta da un lavoro del gruppo del Dr D. Sutherland, che e’ un po’ il papa’ del trapianto di pancreas)

Su alcune migliaia di pazienti in lista d’attesa per un trapianto di pancreas sono andati a vedere se campavano di piu’ i pazienti che venivano trapiantati o quelli che restavano in lista d’attesa: senza entrare nei dettagli della statistica, il risultato e’ che chi si sottopone a trapianto di pancreas isolato vede raddoppiare la propria probabilita’ di essere vivo: quindi una cosa importante.

Il professor Marchetti termina la sua relazione mostrando l’immagine di un sole basso su un orizzonte marino, con queste parole:
“Se questo sole sta ad ovest, siamo al tramonto; in realta’ questo sole sta ad est, noi siamo all’inizio di questa giornata, con questo incontro che inizia con questa breve premessa mia, e che ora entrera’ nel vivo con la relazione del Professor Boggi”
Grazie per la vostra attenzione.”

Prende poi la parola il Prof. Ugo Boggi.

“Grazie Piero. Grazie a tutti voi per essere qui oggi.

La nostra attivita’ di trapianto qui a Pisa e’ piuttosto datata: e’ iniziata quando io ero un bambino….comincio’ nel 1972, principalmente con il trapianto renale da donatore vivente, ma gia’ all’epoca, anche con il trapianto renale da donatore cadavere, e da allora abbiamo fatto piu’ di 1500 trapianti, anche se all’inizio questa attivita’ e’ stata di pochi casi l’anno, ma negli ultimi anni viaggiamo intorno ai 200 trapianti l’anno.

L’attivita’ si basa sui trapianti di fegato, di rene, di pancreas: oggi noi parleremo in dettaglio del trapianto di pancreas.

Il professor Marchetti ci ha detto cosa sia il diabete tipo 1: e’ una sindrome assai complessa, causata dalla perdita irreversibile del patrimonio beta cellulare e quindi della capacita’ di produrre insulina.

Il trapianto di pancreas si propone di reintegrare il patrimonio betacellulare e anche se questa affermazione in fondo e’ un po’ forte, di fatto, il trapianto di pancreas e’ l’unica terapia oggi in grado di “guarire” il diabete. Il guarire e’ tra virgolette non tanto perche’ il soggetto trapiantato non sia in soggetto normale: e’ un soggetto normale, con normale glicemia, normale risposta a stimoli fisiologici normali…ma perche’ il “guarire” normalmente e’ interpretato come una restitutio ad integrum: tornare a che il proprio pancreas produca insulina.

Purtroppo al momento non e’ possibile: c’e’ bisogno di un altro pancreas che la produca, c’e’ bisogno di un intervento, c’e’ bisogno di una terapia antirigetto. Ecco il perche’ il “guarire” e’ tra virgolette, ma dal punto di vista pratico e’ cio’ che succede.

Quando c’e’ la diagnosi di diabete, ci ha spiegato molto bene il Professor Marchetti, la prima cosa che si fa e’ l’insulina: la grandissima parte dei soggetti diabetici finisce per avere un controllo metabolico piu’ o meno buono, soddisfacente, con scarsa incidenza di episodi di ipoglicemia e comunque, mantiene ancora la capacita’ di accorgersi che sta arrivando l’ipoglicemia.
Pertanto questi pazienti, che poi svilupperanno poche complicanze croniche, forse auspicabilmente, nessuna, non sono candidati al trapianto.

Quindi: chi e’ il paziente candidato al trapianto? Colui che ha un controllo metabolico non buono, nonostante una buona terapia insulinica.
Nonostante segua molto bene cio’ che il diabetologo gli consiglia, nonostante il diabetologo sia assai assiduo nel seguirlo a sua volta, non riesce ad ottenere un buon controllo metabolico.
Di per se’ le ipoglicemie non avvertite costituiscono un’indicazione precisa al trapianto di pancreas: il soggetto va in ipoglicemia, potenzialmente il soggetto perde conoscenza, se l’ipoglicemia e’ molto spinta e non se ne accorge e quindi non e’ in grado di correggere l’evento; oppure quando compaiono delle complicanze croniche che tendono ad evolvere, e tendono ad evolvere nonostante la terapia insulinica e cio’ puo’ significare morbilita’: il calo della vista ( fino a perderla), il calo della funzionalita’ renale ( fino alla dialisi) e cosi’ via.
Fin tanto che non viene colpito il rene, la terapia trapiantologica si propone l’obiettivo solo di riportare la produzione di insulina, quindi dare betacellule: quando viene meno la funzione renale, al trapianto del pancreas viene associato quello di rene.

TIPI DI TRAPIANTO

Dobbiamo dire che circa il 90% dei soggetti diabetici tipo 1 che giungono al trapianto, vi arrivano in fase uremica: quindi avrebbero potuto “risparmiarsi” tra virgolette il trapianto del rene, trapiantando prima il pancreas.
In realta’ giungono al trapianto quando il rene ha gia’ un danno irreversibile e cosi’ si e’ sottoposti al trapianto di due organi.

La forma piu’ classica di trapianto e’ quella di trapianto di rene e pancreas da donatore cadavere, cosiddetto trapianto simultaneo di rene – pancreas.

Un altro modo di correggere il problema e’ utilizzare un pancreas proveniente da donatore cadavere e un rene proveniente da donatore vivente.

Il motivo per cui si fa e’ che abbiamo pochi reni, rispetto ai pancreas che invece sono tanti: sembra strano, ma il motivo e’ semplice.
Il trapianto di rene-pancreas in Italia viene fatto in poche regioni. Vi sono regioni in cui non viene proprio eseguito, quindi i reni non verranno dati ai diabetici.

Tecnicamente e’ possibile fare il trapianto di rene da donatore vivente e di pancreas da donatore vivente: in Italia cio’ non e’ consentito dalla legge ( relativamente al pancreas).
Teoricamente e’ possibile anche il trapianto di rene e di isole pancreatiche, ma se sono incerti i risultati dei trapianti di isole, sono assai effimeri i risultati dei trapianti di rene e isole.

Un’alternativa, quando il paziente sia uremico, e’ che possa ricevere prima un trapianto di rene e poi il pancreas: cioe’, anziche’ fare i due organi in una volta che e’ un intervento pesante, si puo’ fare prima il rene e poi il pancreas.
Quando in un diabetico non vi siano danni al rene, si puo’ fare il trapianto di solo pancreas o quello di isole pancreatiche, il cui fine e’ sostanzialmente lo stesso.

La nostra attivita’ di trapianto di pancreas e’ iniziata nel ’96 con 2 casi, nessuno nel ’97, poi piano piano ha cominciato a crescere, quest’anno ( 2004) abbiamo una proiezione per fine anno di circa 50 trapianti di pancreas ( in tutta Italia, poco piu’ di 100).
Da qualche anno, abbastanza stabilmente, facciamo piu’ della meta’ di tutti i trapianti che vengono eseguiti in tutto il paese.

Abbiamo fatto anche alcuni trapianti di isole, questo perche’ ci possiamo avvalere (lui non ve l’ha detto, perche’ e’ schivo) della notevole competenza in questo settore del Professor Marchetti, che ha anche ottenuto un primato personale, perche’ e’ stato il primo medico al mondo ad ottenere l’insulinoindipendenza nell’uomo alla fine degli anni ’80, negli Stati Uniti.
Ma non siamo convinti del trapianto di isole, perche’ siamo convinti che non funzioni, nonostante abbiamo all’interno del centro competenze assolutamente valide da questo punto di vista.

Qualunque terapia trapiantologica ( trapianto di rene, cuore, fegato, polmone, pancreas) si misura principalmente con due parametri: sopravvivenza del paziente, sopravvivenza ( cioe’ funzione) dell’organo.
La sopravvivenza del paziente nel trapianto di pancreas e’ dell’86% a 5 anni ( quella del rene e’ dell’80%)
La funzione d’organo (pancreas) e’ del 75% a 5 anni dal trapianto.

Oggi parliamo di trapianto di solo pancreas, ma volevo spendere poche parole sul trapianto di pancreas – rene per capire quanto sia grave il danno renale nel soggetto diabetico e quanto sia importante arrivare prima che il danno renale sia irreversibile.

(Vengono proiettate delle diapositive che mostrano le percentuali di sopravvivenza di soggetti non diabetici in dialisi e quelle di soggetti diabetici in dialisi.)

Nel primo anno, gia’ si capisce che il soggetto diabetico vive meno: non peggio, meno.
A 5 anni c’e’ una differenza abbastanza netta, soprattutto dovendo constatare che a 5 anni dall’ingresso in dialisi 2 diabetici su 3 sono morti.
L’uremia quando si somma al diabete diventa un fattore estremamente grave.

Viene mostrata una diapositiva di una tabella di uno studio svedese pubblicato su una rivista importante ( Transplantation)che analizza la curva di sopravvivenza di un soggetto uremico diabetico in dialisi: praticamente dopo 10 anni dall’ingresso in dialisi, sono tutti morti.

Viene poi mostrata una tabella che spiega cosa succede se un diabetico uremico fa il trapianto solo del rene: all’inizio, siccome si libera dall’uremia, che e’ un fattore negativo, va bene.
Dopo 3 o 4 anni, pero’ comincia a riscontrarsi la stessa mortalita’.

Viene poi mostrata una tabella relativa a coloro che sono stati sottoposti a trapianto di pancreas e rene: correggere l’uremia, ma soprattutto il diabete, da un vantaggio di sopravvivenza che sta praticamente 80 contro 20 contro 0.

Ci sono altri lavori, come questo che viene dall’America, che calcola quante vite il trapianto salvi a 10 anni, paragonando il trapianto di fegato, che e’ tradizionalmente con il trapianto di cuore, considerato un trapianto salvavita: il trapiantato di fegato rispetto ad un paziente che nelle stesse condizioni non riceva un nuovo fegato salva il 46 % delle vite; il trapianto di cuore il 41% delle vite.

Il trapianto di pancreas e rene, paragonato al trapianto di solo rene, salva la stessa percentuale di vite.

Quindi volevo concludere questa prima parte dicendo che il trapianto di pancreas e rene e’ salvavita nel medio e lungo termine, un trapianto di cuore puo’ esserlo dall’oggi al domani.
Una volta che e’ coinvolto il rene, nel diabetico non si pone il problema ad essere trapiantato. Se uno ha coinvolto il rene e non va incontro al trapianto, sa che e’ partito un cronometro, che durera’ X anni da quando inizia il danno al rene a quando inizia la dialisi, e poi X anni dalla dialisi al decesso: la strada e’ inevitabilmente in discesa.
Questo per farvi capire il significato negativo che la malattia renale ha sul diabete.

Parliamo ora del trapianto di solo pancreas.

Come vi dicevo prima, il trapianto del pancreas e delle isole sono due terapie in qualche modo alternative o forse anche complementari, che tenderebbero a curare lo stesso paziente; l’esperienza clinica e’ assai piu’ forte sul pancreas, perche’ oggi nel mondo sono stati trapiantati oltre 20 mila pazienti di pancreas e qualche centinaio di isole.
Quindi l’esperienza clinica e’ a favore della ghiandola.

L’insulinoindipendenza ad un anno del trapianto isolato di pancreas, a livello mondiale, oggi si aggira sull’80%.
Per i risultati migliori che sono noti, oggi, sui trapianti di isole, questa percentuale di insulinoindipendenza ad un anno si aggira sul 50-60%. Non si ottiene con un solo trapianto, ma di solito con 2-3 trapianti.
Dopo il primo anno nei trapianti di pancreas ci aspettiamo una perdita di insulinoindipendenza pari ad un 1-2% per ogni anno dopo il trapianto di pancreas.
Quindi se partiamo da un primo anno all’80%, per arrivare al 50% ci impieghiamo circa 20 anni.

Non e’ noto quanto sia la percentuale di insulinoindipendenza per le isole dopo il primo anno, al secondo anno i migliori centri del mondo, dopo aver ancora ritrapiantato isole, riportano circa un 40%: quindi non si sa cosa succeda nel lungo periodo.
Il rischio operatorio naturalmente e’ maggiore nel trapianto d’organo, perche’ c’e’ l’intervento, mentre nelle isole c’e’ un’iniezione dall’esterno…comunque, si puo’ morire in un trapianto di isole: non e’ una procedura cosi’ tranquilla e sicura, e’ successo anche in Canada, ci puo’ essere un sanguinamento arterioso: la porta e’ un vaso grande come un pollice, ci si va dentro con un ago, puo’ anche succedere che sanguini.
In ogni caso sicuramente il rischio e’ maggiore nel trapianto di pancreas, che e’ un intervento maggiore.

Il rischio immunosoppressivo e’ equivalente, forse maggiore nelle isole, perche’ essendo una terapia piu’ debole, l’immunosoppressione necessaria in un trapianto di isole e’ piu’ forte di quella che e’ necessaria in un trapianto di pancreas.
Oggi l’immunosoppressione che usiamo in un trapianto di pancreas e’ esattamente la stessa che usiamo per il rene e basta nel non diabetico.

C’e’ una cosa che voglio evidenziare; uno allora si domanda: “ Ma allora perche’ continua ad esserci questa enorme spinta dietro il trapianto di isole?”
Be’, perche’ in un certo senso tutti quanti ci auguriamo che sia il futuro, che si vada verso un intervento meno invasivo, piu’ efficace. Ma il motivo per cui in questo momento c’e’ tutto questo interesse e’ che da un potentissimo accesso ai fondi di ricerca.
Cioe’, fare un trapianto di pancreas e’ un lavoro che costa un sacco di ore di fatica, di notte, tutti in piedi senza mangiare, ecc. E non remunera niente: remunera, se lo volete sapere, 9 euro lordi l’ora. Questa e’ la remunerazione di un chirurgo che fa un trapianto di pancreas la notte di Natale.
Il trapianto di isole da milioni di dollari l’anno a chi lo fa.

Il trapianto di solo pancreas, come ha gia’ detto il professor Marchetti, non e’ per tutti i diabetici, e’ per quei diabetici che controllano male il diabete o per coloro che hanno delle complicanze gravi, che evolvono.

Il diabete comporta un accorciamento della spettanza di vita, anche se essendo migliorate le terapie, attualmente, il rischio di morte si e’ ridotto rispetto al passato.

Ci sono alcuni marker che dicono che il diabete e’ “cattivo” e sono quando vi e’ coinvolto il rene e quando vi e’ coinvolto l’occhio.
Di quanto aggrava la prognosi l’insufficienza renale? La possibilita’ di essere morti 5 anni dopo l’insufficienza renale e’ circa del 70%.

Il primo passo della nefropatia diabetica e’ la microalbuminuria, e poi la proteinuria.
La percentuale di sopravvivenza del centro di Pisa fortunatamente ( io sono abbastanza scaramantico) toccando ferro e’ del 100% a 3 anni, il che non e’ un valore assoluto nel mondo.

Sappiamo che il Registro mondiale riporta un valore del 98% a un anno( comunque una sopravvivenza alta, per una terapia come il trapianto), la funzione del pancreas ad un anno e’ del 92%, che e’ molto alta, rimane 92% a 2 anni, decresce all’84% a 3 anni.
Questi pazienti, insulinoindipendenti sono ex-diabetici, sono totalmente normali.

Diciamo che decidere quando fare un trapianto di pancreas e’ un equilibrio tra rischi e benefici.
I benefici saranno quelli di avere un ottimo controllo metabolico, se il trapianto funziona, normale.
Possono esserci alcuni effetti benefici su alcune complicanze croniche; ve ne parlera’ la Dr Giannarelli: alcune si fermano, alcune addirittura migliorano e ovviamente migliora la qualita’ della vita.
Questo e’ un dato soggettivo: uno non si fa piu’ insulina, come diceva il Professor Marchetti, puo’ fare quello che vuole.

Ci sono dei rischi e su questo mi focalizzero’ in questa ultima parte.

Vi spieghero’ ora come facciamo noi, quando un paziente si presenta, per capire se sia un candidato per fare un trapianto di pancreas oppure no.

Ci riuniamo in 6 persone: un diabetologo, un cardiologo, un anestesista, un nefrologo, un chirurgo, uno psichiatra, che costituiscono la Commissione Medica, che ha un colloquio iniziale con il paziente, al quale vengono illustrate un po’ le cose che sentite dire oggi.
Gli si dicono i pro del trapianto, ma soprattutto i CONTRO: non gli viene taciuto NULLA di cio’ che puo’ essere “la spina della rosa”.

Se il paziente si mostra interessato e noi riscontriamo che presenta le caratteristiche per essere potenzialmente un candidato, fa prima una valutazione di base.
Noi abbiamo sempre piacere che parli prima con altri pazienti che hanno gia’ avuto il trapianto: questo perche’ il paziente, parlando con altre persone che hanno la sua stessa storia di malattia e che hanno quindi delle cose in comune, possono anche avere delle informazioni che noi potremmo anche non in grado di trasmettergli.
Completa la valutazione e dopo di che torna ad essere rivisto dall’insieme dei medici e si analizza quello che e’ venuto fuori.

Puo’ anche darsi che gli diciamo:” Pensavamo che lei fosse un candidato al trapianto di pancreas, ma in realta’ le cose vanno gia’ bene con l’insulina esogena, non ce n’e’ bisogno”.
Oppure: “ Pensavamo che fosse un candidato, e almeno dal nostro punto di vista lo e’, ma purtroppo e’ arrivato tardi”, cioe’ magari c’e’ qualche organo purtroppo malato, tanto da rendere il trapianto troppo rischioso.

Cosa vogliamo dire quando diciamo che il trapianto e’ “troppo rischioso”?

Viene mostrata una tabella che analizza le cause di decesso dopo quasi 6000 trapianti di rene-pancreas in America: la causa cerebro-cardiovascolare continua ad essere la causa prevalente di morte anche dopo piu’ di 15 anni, il che stressa quanto il diabete faccia male al cuore e ai vasi e quanto l’intervento precoce da questo punto di vista possa essere benefico.

Altre complicanze del diabete continuano ad incidere in maniera non molto alta.
E ci sono anche problemi di ordine psicologico, psichiatrico che possono incidere.
Tutte le altre cause di morte sono cause di morte non specifiche del diabetico, comuni ad altri trapiantati e anche non trapiantati.
Comunque questo vi spiega perche’ abbiamo creato questo sistema cosi’ complesso: perche’ non basta il nefrologo, non basta il chirurgo per decidere se il diabete e’ tanto grave da avere bisogno di un trapianto o troppo grave per fare un trapianto: ci vogliono tante persone insieme che cercano di riunire la loro competenza per cercare di migliorare i risultati che abbiamo visto.

Vediamo ora nello specifico il rischio chirurgico.

Il trapianto di pancreas e’ una cosa molto delicata, il rischio comincia quando ci viene segnalato un donatore: noi dobbiamo capire se quel donatore va bene per fare un trapianto ad una determinata persona.
Ed e’ gia’ un giudizio molto delicato.
Poi c’e’ il prelievo degli organi dal donatore cadavere: anche li’ si mettono le basi per una buona riuscita del trapianto.
Una volta che l’organo e’ stato prelevato dalla persona che l’ha donato, va “preparato” per essere impiantato nella persona che lo riceve: tutte queste cose durano ore, e sono da fare con grande scrupolo.
Vi e’ poi il trapianto vero e proprio, che e’ un intervento delicato.
Poi una cosa cruciale ( non so se c’e’ qualcuno in sala che ha fatto il trapianto, e loro lo sanno) c’e’ la sorveglianza post-operatoria: cioe’ il trapianto non finisce alla fine dell’intervento quando si esce dalla sala e ci si toglie i guanti, ma inizia in quel momento, perche’ da li’ c’e’ una sorveglianza che va portata sul malato, che e’ un po’ come una piantina che abbiamo trapiantato in un giardino: e’ in quel momento che ha bisogno delle massime cure per attecchire, poi una volta che ha attecchito va da se’….

Come si fa un trapianto di pancreas?

Il trapianto di pancreas e’ il trapianto di tutto l’organo ( una ghiandola allungata) insieme al duodeno: la tecnica tradizionale, quella classica, che ha consentito all’inizio il successo del trapianto di pancreas e’ la tecnica del drenaggio che si chiama sistemico-vescicale.
Il duodeno viene attaccato alla vescica e nella vescica riversera’ le secrezioni digestive del pancreas, che al diabetico non servirebbero, ma che il pancreas comunque produce.

Questa tecnica ha aperto l’era moderna dei trapianti, perche’ e’ una tecnica sicura, nel senso che il drenaggio vescicale delle secrezioni esocrine del pancreas consente di avere un marker del rigetto pancreatico andando a misurare la quantita’ di secrezione, in particolare di amilasi, e qualunque problema che comporta questa anastomosi che puo’ guarire con ritardo, non completamente fin dall’inizio, e’ un problema poco pericoloso, perche’ la vescica e’ sterile e quindi non si traduce in un’infezione.
Ovviamente nel lungo termine, il fatto di avere queste secrezioni che vanno in vescica ( e la vescica non e’ nata per quello) puo’ dare dei problemi, per cui il passo successivo nell’evoluzione della tecnica e’ stato quello di continuare a mandare il sangue nella circolazione sistemica, quindi principalmente nella vena di una gamba, ma collegare il duodeno all’intestino: questo priva della possibilita’ di avvalersi dell’esame dell’amilasi urinaria, ma migliora notevolmente la qualita’ della vita, perche’ elimina tutte le complicanze urologiche collegate all’altra tecnica.

L’ultima modifica e’ stata quella che ha cercato di rifare quello che aveva pensato il Padre Eterno, cioe’ non solo fare scaricare il pancreas nell’intestino, ma far andare il sangue che esce dal pancreas direttamente nel fegato, come succede col nostro pancreas.
Questo e’ molto importante perche’ il fegato e’ una centrale metabolica ed e’ la’ dove l’insulina viene per prima utilizzata.
Noi abbiamo iniziato con la prima tecnica e abbiamo fatto 37 trapianti; con la seconda ne abbiamo fatti 15.

Ora con la terza ne abbiamo gia’ fatti 120: perche’? Perche’ questa tecnica pare sia associata ad un vantaggio immunologico: la percentuale di insulinoindipendenza a 90% dopo un anno dal trapianto di pancreas che vi abbiamo mostrato prima e’ estremamente alta. Noi crediamo che in parte sia dovuta al fatto che deviamo tutti i pancreas nella porta. Il fegato e’ un organo privilegiato dal punto di vista immunitario: questa e’ la base.
C’e’ un vantaggio metabolico: mandando l’insulina in una vena periferica, per ottenere una normoglicemia bisogna avere molta piu’ insulina che gira in tutto il corpo, e poi arriva diluita al fegato, perche’ in parte si disperde altrove, per avere gli effetti metabolici che deve avere.
Drenarla direttamente nella vena che porta il sangue al fegato e’ ovviamente un vantaggio metabolico.

Questi sono i nostri dati, per spiegare quello che e’ il rischio chirurgico del trapianto di pancreas con drenaggio portale.

Il tallone d’Achille del trapianto di pancreas e’ la trombosi: cioe’ il fatto che il sangue si possa coagulare dentro l’organo che abbiamo trapiantato.
Ecco perche’ dicevo che la sorveglianza post-operatoria deve essere assillante.
La trombosi della vena ci e’ capitata 10 volte su 120: grazie alla sorveglianza assillante, in 7 casi su 10 l’abbiamo trovata prima che fosse una trombosi completa e quindi risolta solo utilizzando farmaci idonei, in alcuni casi o rioperando in altri casi, siamo stati in grado di salvare l’organo.
3 volte l’abbiamo perso per una trombosi completa. Trombosi arteriosa ne abbiamo avuto 1 sola di tipo non occludente.

Si sente dire: “ Se ti fanno il trapianto di pancreas, dopo ti operano altre 3 volte”, NON E’ VERO!

Il trapianto di pancreas e’ il trapianto di organo solido con il piu’ alto tasso di complicanze cosiddette chirurgiche, anche se non tutte dipendono dal chirurgo.
Sono stati rioperati il 15% dei pazienti, il piu’ delle volte per sanguinamento, che e’ il rovescio della trombosi.
Siccome il pancreas e’ a rischio di trombosi, ai pazienti vengono dati molti farmaci per non far coagulare il sangue e qualcuno finisce col sanguinare, ma il sanguinamento in genere e’ una complicanza controllabile, l’organo rimane.
Se la trombosi e’ completa, purtroppo, comporta la perdita dell’organo.
Sempre a livello di sanguinamento e’ abbastanza frequente il sanguinamento intestinale, che dipende dai farmaci che i pazienti assumono.

Con il drenaggio portale il 97% dei pazienti e’ vivo a 3 anni e l’insulinoindipendenza e’ del 90%.

Vi dicevo della trombosi vascolare, e’ importante prevenirla o quanto meno identificarla precocemente: non entrero’ nel dettaglio dei farmaci; in ogni caso anticoaguliamo tutti i pazienti che fanno un trapianto di pancreas, in maniera piu’ o meno energica, in base al rischio che noi individuiamo: il rischio e’ minore per quelli che hanno uremia, e’ maggiore per quelli che non l’hanno ancora.

Monitoraggio: la prima settimana facciamo il doppler tutti i giorni per vedere dall’esterno se i vasi del pancreas hanno un buon flusso, dopo l’8a giornata, la “piantina” dovrebbe aver attecchito e lo facciamo quando c’e’ bisogno, nei controlli programmabili.

Il rischio immunosoppressivo: facendo il trapianto bisogna prendere una serie di pastiglie, che sono molte all’inizio, man mano meno, ma gli immunosoppressori e la terapia antiregetto rimarra’ fin tanto che l’organo funziona e quindi speriamo per tutta la vita.

All’inizio diamo basse dosi di cortisone, un farmaco che serve a “confondere” il sistema immunitario perche’ non si accorga che gli abbiamo messo l’organo di un’altra persona.

Infine 3 farmaci: il cortisone, il tacrolimo e il micofenolatomofetile che sono la terapia cronica, una specie di argine, una diga che rimane ferma finche’ sta li’ il trapianto.

Si puo’ pensare di togliere gli steroidi dopo il primo anno di trapianto, si puo’ pensare di abbassare dopo il 2o anno il tacrolimo, ma il farmaco immunosoppressore principale, la diga, il “Franco Baresi del Milan di una volta” e’ il micofenolatomofetile.
Questo farmaco ha una serie di vantaggi: non e’ nefrotossico, diversamente da tutti gli altri farmaci immunosoppressori. Non ne e’ noto il potere oncogeno, ma sappiamo che e’ circa 25 volte inferiore al suo predecessore, che e’ l’Aziatropina, e’ dotato di un potere antivirale, per cui riduce vistosamente le infezioni, siccome alcuni tumori del trapiantato sono dati da virus, indirettamente riduce l’incidenza di questi tumori.

Come facciamo a capire se c’e’ un rigetto?
In genere il sospetto clinico ci viene perche’ nelle analisi che il paziente fa troviamo anormali l’amilasi e la lipasi: quando troviamo la glicemia anormale, in genere e’ troppo tardi ( anche se recentemente abbiamo recuperato un pancreas che ci e’ arrivato con la glicemia anormale).
Allora facciamo ecografie, eventualmente una TAC: se il sospetto e’ confermato, bisogna trattarlo con cortisone, se risponde era un rigetto steroidosensibile e va bene; se non risponde, gli facciamo una biopsia, preleviamo un campione, lo guardiamo al microscopio per capire che tipo di rigetto si tratti e raramente ci possono essere cause non immunologiche.

Nella nostra esperienza il rigetto acuto si e’ verificato nel 13% dei casi: in 3 casi e’ stato un rigetto iperacuto, si e’ verificato cioe’ entro poche ore dal trapianto, e abbiamo perso l’organo.
Negli altri casi si e’ verificato piu’ tardivamente, e comunque entro il 1o mese e in questi casi non abbiamo mai perso l’organo.

Uno dei principali disincentivi, forse potremmo anche usare la parola “deterrente” al trapianto di pancreas e’ il rischio che questa terapia immunosoppressiva induca allo sviluppo di una neoplasia. Questo e’ un dato noto da sempre, con l’esperienza dei trapianti di rene, di fegato e questa e’ la nostra esperienza su 172 trapianti di pancreas.

Quando usavamo la “vecchia” terapia ( tra il 1996 e il 1998) abbiamo avuto 1 caso di linfoma (che e’ un tumore abbastanza tipico del trapiantato, indotto spesso da virus) su 9 pazienti ( che e’ poco per trarre conclusioni, e’ l’11%).
Successivamente ( dal 1998 a tutt’oggi) su 163 trapianti con la terapia che usiamo oggi, all follow-up massimo ( quindi c’e’ qualcuno che e’ al follow-up da 5/6 anni, altri da 3 mesi.) abbiamo avuto un solo caso di tumore, che e’ stato un carcinoma polmonare in un paziente fumatore, che peraltro aveva continuato a fumare dopo il trapianto ( in ogni caso il fumo e’ una controindicazione assoluta: chi vuole fare il trapianto deve smettere).
La percentuale di tumore e’ 0,6%, ma la cosa interessante e’ che alcuni dei piu’ recenti farmaci (e quindi questo stravolge l’idea che c’era fin’ora dei farmaci antirigetto, protumorali), siano antitumorali: ci sono farmaci che addirittura vengono usati per curare forme neoplastiche.

Uno e’ la Rapamicina: la Rapamicina e’ un farmaco che e’ stato inizialmente sperimentato proprio come farmaco chemioterapico, per trattare forme tumorali; e’ un farmaco immunosoppressore molto potente, molto efficace per il trapianto.

Un altro farmaco, e questo puo’ essere veramente il farmaco del futuro, ed e’ quello con cui vi dicevo abbiamo recuperato recentemente un pancreas in rigetto recentemente e’ un farmaco che viene usato per curare la leucemia, quindi e’ un farmaco antitumorale.
In Italia se uno prende il bugiardino del Campath c’e’ scritto: “si usa per curare la leucemia linfatica cronica”.
Noi per usarlo in un paziente che non aveva la leucemia linfatica cronica abbiamo dovuto chiedere l’autorizzazione del Comitato Medico, che ci ha dovuto dare l’autorizzazione ad usarlo fuori dalle indicazioni.

Quindi i farmaci nel trapianto stanno cambiando, non sono piu’ tutti necessariamente protumorali, addirittura ve ne sono di antitumorali.

Il rischio infettivo.

Avete visto in giro qualche trapiantato con la mascherina: non e’ che i trapiantati devono portare la mascherina tutta la vita, solo all’inizio, soprattutto quando sono in luoghi affollati e chiusi, ma poi possono fare una vita del tutto normale.

Per ritornare a quello che dicevo prima, con la vecchia terapia abbiamo avuto un’infezione tanto grave da causare la morte di un paziente per sepsi ( su 172).

Successivamente, su 163 trapianti nessun decesso per sepsi, quindi, anche senza entrare nei dettagli, le infezioni rimangono, alcune sono anche fastidiose, ma fortunatamente nell’arco degli ultimi 6 anni, per quanto riguarda il pancreas, non abbiamo mai avuto un’infezione cosi’ grave da determinare il decesso.

Forse qualcuno di voi avra’ saputo, ne ha parlato poco fa’ il professor Marchetti, avra’ letto o visto su Internet, che e’ uscito un articolo su Jama nel dicembre 2003.
Era un’analisi dei dati UNOS.

Come sapete in America hanno il vizio, o anche il pregio, di classificare tutto: hanno un database mostruoso! Hanno i dati di tutti i pazienti che sono entrati in lista, di tutti quelli che sono stati trapiantati, di chi e’ uscito dalla lista.

Un gruppo ha preso tutti questi dati ed e’ andato a vedere se chi mettiamo in lista per un trapianto di pancreas isolato e non viene mai trapiantato, vive piu’ o meno di chi ha fatto un trapianto?
In base a questa analisi risultava che la mortalita’ dopo il trapianto era superiore rispetto a coloro che attendevano, cioe’ era uno svantaggio fare il trapianto.

Pero’ dobbiamo dire che gli stessi dati sono stati rianalizzati successivamente perche’ questa analisi aveva, come dire, un deficit strutturale: il paziente entrava in lista di attesa per fare il trapianto isolato, ad un certo punto gli venivano 3 infarti, la commissione medica del centro trapianti diceva “no, ora il rischio e’ troppo alto, togliamolo dalla lista”, moriva la settimana dopo, ma nell’analisi del 1o studio risultava “vivo”, quindi “sbilanciava” lo studio.
In questo secondo studio risulta che la mortalita’ dei pazienti che attendono e non recedono e’ assai piu’ alta di quelli che ricevono il trapianto.

Allora, questo e’ come vediamo noi i trapianti ( mostrando una diapositiva): di qua ci sono i diabetici che vanno avanti con l’insulina, sono la stragrande maggioranza, sono quasi tutti diabetici che stanno bene con l’insulina senza fare il trapianto.
Ad un certo punto si puo’ avere bisogno del pancreas, e a mano a mano, si puo’ avere bisogno anche del rene e mano a mano che le cose si aggravano, alla fine, il trapianto puo’ non essere piu’ possibile.

Comunque, nonostante tutte queste cose che vi ho detto, dopo un trapianto si sta bene: un nostro trapiantato dopo 5 mesi dal trapianto ha corso la maratona a Pisa, e’ ovviamente la nostra mascotte.

Grazie.

 

 

a cura di Daniela D’Onofrio

In ricordo di Giuliano Giuliani