Il diabete in Italia costa 20 miliardi ma l’80% dei casi è prevenibile

Un malato su tre non sa di esserlo. Per questo la giornata mondiale del diabete – che da oggi al 18 novembre prevede un migliaio di iniziative in 500 città italiane – ha una valenza strategica. Per favorire una maggiore conoscenza della patologia e un più ampio accesso agli screening (nelle farmacie, nei centri di diabetologia e presso i medici di famiglia). Con un doppio obiettivo: fare prevenzione – l’80% dei casi potrebbe essere evitato attraverso corretti stili di vita e alimentazione – e contenere la spesa sanitaria nazionale. Che nel caso del diabete, arriva a 20 miliardi, tra costi diretti e indiretti.

Le voci più alte: l’ospedalizzazione con 7 miliardi e i prepensionamenti (altri 7 miliardi) seguite dalle assenze dal lavoro (5miliardi). «Il fatto che il diabete non abbia dei sintomi caratteristici e si riveli quando generalmente c’è già una complicanza – spiega Concetta Suraci, presidente di Diabete Italia – rende più difficoltosa la gestione del malato e fa lievitare i costi, che passano da 3mila euro l’anno per un paziente diabetico per poi aumentare in modo esponenziale all’insorgere di ogni complicanza. Fino a raggiungere i 50mila euro l’anno. Per migliorare il quadro, basterebbe misurare la glicemia una volta l’anno dopo i 45 anni. Iniziando prima se ci sono altri fattori di rischio, come la familiarità, il sovrappeso – soprattutto l’obesità addominale – o l’ipertensione». In Italia ci sono 3,7 milioni di diabetici. E come per tutti i Paesi occidentali è un’epidemia in fase di espansione. Nel mondo una persona su 11 convive con il diabete, ne soffrono oltre 400 milioni ed è previsto che per il 2030 ci saranno 522 milioni di persone con diabete. Nel 2017 ci sono stati, a livello globale, quattro milioni di morti.

Per i piccoli pazienti priorità a diagnosi precoce e inserimento a scuola
Oltre un milione di bambini e adolescenti nel mondo hanno un diabete di tipo 1, ovvero quello autoimmune. In Italia ci sono 20mila giovani diabetici. Si tratta di una patologia cronica purtroppo non guaribile ma curabile con l’insulina. «La diagnosi precoce è fondamentale – spiega Ivana Rabbone, Vice Presidente Siedp, Società Italiana Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica – e i genitori devono stare attenti a sintomi ben precisi: un bambino che beve molto, va spesso in bagno per urinare e dimagrisce deve consultare subito il proprio pediatra, che con una piccola goccia di sangue prelevato dal dito può fare la diagnosi. È una patologia che stravolge e coinvolge tutta la famiglia». Ma la responsabilità sulla diagnosi precoce non è ovviamente solo dei genitori. «Il problema è quello di una scarsa cultura diabetica pediatrica – spiega Giovanni Lamenza, presidente dell’Agd, coordinamento delle associazioni italiane giovani con Diabete – che troppo spesso causa un mancato riconoscimento della patologia. L’immagine del paziente diabetico è legata alla persona anziana, in sovrappeso, che non deve mangiare i dolci. Il bambino è tutta un’altra cosa. E purtroppo un piccolo malato su tre arriva al pronto soccorso già in chetoacidosi diabetica, una complicanza potenzialmente fatale. Dopo settimane in cui una diagnosi precoce dei sintomi avrebbe potuto evitare di arrivare all’emergenza. Tra dicembre 2017 e maggio 2018 abbiamo avuto due decessi».

Le principali associazioni di genitori di bambini diabetici sono state ricevute il 26 ottobre scorso dalla Commissione Igiene e sanità del Senato per avanzare una serie di richieste urgenti: «Diramare un documento ufficiale del Miur che diffonda nelle scuole adeguate indicazioni, già scritte e disponibili sul sito di Agd Italia, per l’inserimento del bambino diabetico nella scuola. Ora affidato alla buona volontà del personale scolastico e delle famiglie. Favorire la formazione dei genitori, che devono gestire il percorso terapeutico dei loro bambini, anche di pochi mesi. E un supporto socio-sanitario senza ostacoli alle famiglie con la Legge 104. Le linee guida dell’Inps ci sono e sono chiare: le agevolazioni vanno concesse fino al compimento dei 18 anni del bambino e senza revisioni intermedie. Il problema è che le commissioni medico legali delle Asl non le seguono. E molte mamme devono lasciare il lavoro per prendersi cura dei loro figli diabetici». Infine il passaggio all’età adulta. «Nella transizione dalla pediatria alla diabetologia per adulti – conclude Lamenza – spesso la qualità delle cure viene meno e il livello dell’assistenza regredisce in un mare magnum».

Se le neomamme si trascurano
Un’altra fascia a rischio è costituita dalle donne in gravidanza. «Le donne in generale sono allertate dai ginecologi ed effettuano il test tra la 24esima e la 32esima settimana. Ma troppo spesso l’esame è fatto in ritardo. E c’è un vuoto assistenziale anche nel post partum. Se la mamma ha avuto un diabete gestazionale – continua Suraci – che normalmente scompare, dovrebbe comunque sottoporsi a screening a sei settimane dal parto. Perché il rischio di contrarre il diabete è superiore del 30% alla media. Il problema è che dopo la nascita del bimbo solo metà delle donne si controlla. La formula vincente per intercettarle è quella di creare dei servizi congiunti tra ginecologia e diabetologia, in modo che la neomamma non dimentichi di controllare la glicemia. Una pratica osservata solo in alcune regioni, un po’ a macchia di leopardo».

L’impatto sulla sfera sessuale: avvicinare l’uomo all’andrologo
La giornata mondiale del diabete non dimentica gli uomini. Anzi. Perché uno degli impatti più trascurati e poco conosciuti del diabete riguarda la sfera sessuale. Disfunzione erettile, eiaculazione retrograda e fimosi del pene sono sintomi tutt’altro che infrequenti nei diabetici. Ma la buona notizia è che se si va dall’andrologo ci sono ottime possibilità di trovare una soluzione. «Purtroppo l’uomo, al contrario della donna, è molto restio a rivolgersi all’andrologo – spiega Nicola Mondaini, consigliere nazionale della Società Italiana Andrologia – e quindi è anche più tardiva la scoperta della malattia. Sono pochissimi coloro che fanno una visita preventiva in assenza di sintomi. E la cosa incredibile è che dal momento in cui l’uomo scopre di avere qualche disturbo, passano anche tre anni prima che trovi il coraggio di prenotare una visita specialistica. Ed è un vero peccato perché quasi il 100% delle problematiche è risolvibile. Quello tra uomo e andrologo è un rapporto poco formato che deve essere assolutamente valorizzato e promosso. Non dimentichiamo che escluse le cause psicologiche, nel 70-80 per cento dei casi la disfunzione erettile ha delle cause organiche. E tra queste il diabete ha un ruolo molto rilevante, insieme a ipertensione, malattie endocrine o cardiovascolari». Per questo, conclude Mondaini, «Anche se la sensibilità verso questo particolare impatto del diabete sta aumentando, sarebbe auspicabile anche una maggiore attenzione dei diabetologi a queste problematiche. Basterebbe una semplice domanda al paziente per poi indirizzarlo se necessario verso l’andrologo».

Diabete a quattro zampe
Infine ci sono gli amici animali. L’incidenza della malattia si attesta intorno all’1% ed è in aumento, secondo gli esperti. Il diabete può dar luogo anche a complicanze: per esempio la cataratta nel cane e la debolezza agli arti posteriori nel gatto. Una diagnosi precoce, anche in questo caso, è fondamentale e ci sono alcuni sintomi ben precisi: sete intensa e urinazione abbondante, perdita di peso malgrado l’aumentato appetito, la sonnolenza, il pelo più rado e opaco, l’assenza di auto pulizia nel gatto e la cataratta nel cane. “Di solito – spiega Marco Melosi, Presidente dell’’ssociazione Nazionale Medici Veterinari Italiani – ad ammalarsi sono gli animali adulti e anziani, spesso in sovrappeso, anche a causa di una sterilizzazione. Il cane è colpito quasi esclusivamente dal diabete di tipo 1, quello di tipo genetico, e le femmine affette risultano essere il doppio rispetto ai maschi. Anche alcune razze sono più a rischio: Setter Inglese, Yorkshire Terrier, Samoiedo, Terrier, Schnauzer Nano, Beagle, Barbone, Dobermann Pinscher, Golden retrive e Labrador. Nel gatto, affetto prevalentemente dal diabete di tipo 2, invece risultano più colpiti i gatti castrati; a differenza del cane, in quest’ultima specie il legame tra obesità e comparsa della malattia è stato chiaramente dimostrato».

 

da Il Sole 24 Ore