Handicap e invalidità sono definizioni

Prendo spunto da discussioni che in diversi gruppi sono andate avanti (purtroppo) per fazioni e personalizzazioni.
Il tema dell’handicap/invalidità come ‘marchio’ per me è un problema che si deve superare con l’educazione e l’esempio, non cancellando la realtà o cercando di (ri)definire cos’è una vita ‘normale’.
A cominciare dal fatto che handicap ed invalidità sono definizioni conseguenti a stati di fatto, non (s)qualificano la persona ma descrivono la sua situazione di salute e di capacità oggettive.
Purtroppo viene ancora troppo spesso considerata invece come una diminuzione, un’offesa, una cosa da compatire magari, ma da evitare il più possibile, come se fosse un marchio di infamia. Ma il cambiamento deve partire da ciascuno di noi
Ho conosciuto un tetraplegico che era riuscito ad attrezzarsi una casa completamente automatizzata. La sua vita scorreva in parte al lavoro in ufficio (anche questo attrezzato per le sue esigenze) per il resto in casa, a volte piena di amici, ma spesso da solo.
Ed era la sua vita normale.
Ho amici ciechi che hanno una vita piena, qualcuno vive da solo, qualcuno si è sposato, lavorano, viaggiano, a volte devono farsi aiutare se sono in posti che non conoscono, ma insomma fanno una vita normale. 
Ho un fratello sordo che è sempre stato coinvolto nei giochi e nelle risse tra fratelli, ha studiato, ha lavorato sia in proprio che da dipendente, ha moglie e figli, porta gli apparecchi acustici ed a volte occorre ripetergli le cose, ma ha una vita normale. 
Ho una sorella che da anni si nutre per endovena perchè non ha più intestino, ma ha cresciuto suo figlio ora adolescente, si gode i quattro nipoti, regalo dell’altra figlia, e vive una vita normale, tra un ricovero per esami ed uno per setticemia.
Ho una figlia bellissima, con la testa sul collo, ma un collo talmente lungo che a volte la testa è tra le nuvole com’è giusto alla sua età. Studia, ha fatto sport (ma credo abbia ereditato i miei geni della pigrizia), ha fatto campi, ha già soggiornato all’estero con la scuola e non, a settembre andrà 3 settimane a Madrid per uno stage lavorativo. Fa la normale vita di una sedicenne tra scuola, amiche, cene e sogni.
Ed il suo normale è anche ricordarsi di controllare più volte al giorno la glicemia, di fare l’insulina ogni volta che mangia o che deve correggere un’iper, di portarsi sempre dietro tutto l’occorrente (glucometro, zucchero & c, glucagone) per prevenire/tamponare le ipo.
Non ho mai pensato che potesse essere un problema farla riconoscere invalida (con handicap fino ai 14 anni) se non per il dolore che mi dà sapere che non c’è (ancora) una cura per la sua malattia cronica.
E non lo è mai stato per lei che è stata educata a considerare le persone per quello che sono, non per l’etichetta, il titolo, la divisa o quant’altro le possa qualificare.

Oppure vorrei capire come vanno interpretate le definizioni utilizzate dalla normativa (L. 118/71 e L. 104/92) qual’è il limite tra invalido e non, tra handicappato e non.
(per chi non volesse leggersi tutta la normativa, aggiungo un link al riassunto che un amico, abile avvocato, ha fatto delle definizioni legali. Grazie Umberto Pantanella. http://www.portalediabete.org/…/3785-le-norme-e-le-opinioni… )

Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui

di Andrea Rivella