Fanno bene sia gli spot aerobici, sia quelli acquatici

Secondo  una recente revisione degli  studi, per tenere sotto  controllo la glicemia nelle  persone con diabete di tipo 2  sono efficaci sia gli sport  aerobici, sia quelli  acquatici. L’esercizio fisico  aiuta ad abbassare i livelli  glicemici, contribuisce a  cambiamenti positivi nella  composizione corporea, regola  la pressione e il colesterolo  e aiuta a migliorare la  qualità della vita in  generale. Ma solo il 30%  delle persone con diabete di  tipo 2 aderisce a programmi  di allenamento che  comprendono camminata, corsa  o allenamento di resistenza.

“Il nostro gruppo di ricerca  ha condotto diversi studi  sull’esercizio fisico in  persone con diabete di tipo 2.  Abbiamo notato che alcuni  soggetti non potevano  partecipare agli studi che  prevedevano esercizi sul  suolo (come la camminata) a  causa di ostacoli come il  dolore articolare”, dice l’ autore principale della  revisione, Normand Boule. “ Successivamente, abbiamo  progettato uno studio su  forme alternative di  allenamento in grado di  affrontare alcuni di questi  ostacoli. L’esercizio in  acqua ci è sembrato un’ alternativa logica”, aggiunge  Boule, un ricercatore di  educazione  e attività fisica  ricreativa presso l’ Università di Alberta di  Edmonton, Canada.
Ma quando insieme ai suoi  colleghi ha cercato studi  precedenti sull’argomento, è  rimasto sorpreso dal fatto  che non erano state  effettuate molte ricerche  sugli esercizi eseguiti in  acqua dalle persone con  diabete di tipo 2. “Questi  studi avevano pochi  partecipanti, cosa che ha  reso difficile comprendere  appieno come gli esercizi in  acqua possono far bene agli  individui con diabete di tipo  2”. Per questo i ricercatori  hanno deciso di aggregare i  risultati in una metanalisi  per avere un quadro più ampio.

La metanalisi
Il gruppo di lavoro ha  attinto a nove precedenti  studi pubblicati che avevano  esaminato gli esercizi in  acqua e i livelli di glicemia  nelle persone con diabete di  tipo 2. Questiesercizi  comprendevano camminata,  corsa o bicicletta in acqua e  vari tipi di fitness, sempre  in acqua. Due studi avevano  confrontato direttamente gli  esercizi in acqua con quelli  su terra. Il resto aveva  comparato i soggetti che si  esercitavano in acqua con  persone simili ma sedentarie  o aveva messo a confronto gli  individui stessi prima di  iniziare un programma di  esercizio e dopo otto  settimane o più di attività  in acqua.

Il team ha riscontrato che,  dopo otto settimane, chi  aveva svolto gli esercizi in  acqua aveva ridotto l’HbA1C  nella stessa misura di chi si  era esercitato a terra.

Inoltre, dopo 8-12 settimane  di esercizi in acqua, gli  individui mostravano  miglioramenti per quanto  rigiardava pressione,  colesterolo e trigliceridi.
La maggior parte degli studi  presi in considerazione erano  a breve termine, quindi sono  necessarie ulteriori ricerche  per capire come, in un arco  di tempo più lungo, gli  esercizi in acqua siano  paragonabili a quelli al di  fuori di essa.

“Anche se questa metanalisi  potrebbe essere sufficiente  per dimostrare miglioramenti  nei livelli di glicemia,  sarebbe importante condurre  ricerche a più lungo termine  per diverse ragioni- aggiunge  Boule -Primo, l’adesione a  programmi di esercizio a  lungo termine è ardua e le  difficoltà di accesso a una  piscina (per es., costi,  distanza, disponibilità del  programma, ecc) potrebbero  rendere tale adesione ancora  più difficile rispetto ad  altre attività come la  camminata. In secondo luogo  uno studio più a lungo  termine potrebbe essere  particolarmente pertinente  per persone con limitazioni  fisiche all’esercizio, come  un dolore articolare.I  miglioramenti nella forma  fisica e le riduzioni dei  dolori articolari potrebbero  tradursi in un aumenoi della  capacità dei soggetti di  essere fisicamente attivi in  altri modi, al di fuori della  piscina. Se così fosse, gli  esercizi in acqua potrebbero  ulteriormente aiutare a  migliorare gli esiti in  termini di qualità della vita,  come salute mentale e  funzionalità fisica”.

Fonte: Acta Diabetologica 2017

Shereen Lehman

(Versione Italiana Quotidiano  Sanità/Popular Science)