Diabete tipo 2, pioglitazone non ha effetti negativi sull’osso nelle donne in post-menopausa

L’antidiabetico pioglitazione non compromette la salute dell’osso. A decretarlo è uno studio multicentrico eseguito negli Stati Uniti e pubblicato di recente sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism. In questo studio, infatti, pioglitazione, alla dose massima approvata, ha dimostrato di non avere effetti negativi sulla densità minerale ossea (BMD) e sul turnover osseo in un gruppo di donne in post-menopausa che presentavano una ridotta tolleranza al glucosio e un aumento della glicemia a digiuno.

I tiazolinedioni (TDZ), classe alla quale appartiene pioglitazone, sono ampiamente utilizzati per migliorare il controllo glicemico in questa popolazione di pazienti. Tuttavia, l’attivazione del PPAR gamma esercitata da questi agenti ha dimostrato di spostare la differenziazione delle cellule staminali mesenchimali verso gli adipociti piuttosto che gli osteoblasti sia in vitro sia in modelli murini, effetto che potrebbe avere implicazioni sul rimodellamento osseo in coloro che li assumono.

Alcune analisi post-hoc e metanalisi degli aventi avversi verificatisi in studi controllati e randomizzati e in studi osservazionali, in passato, avevano suggerito un aumento del rischio di fratture periferiche nei pazienti, e in particolare nelle donne, con diabete di tipo 2 (DT2) in trattamento con pioglitazone o rosiglitazone (poi ritirato dal commercio in Europa per possibili problemi di sicurezza cardiovascolare e recentememnte riabilitato).

“Tra questi, per esempio, c’è lo studio PROactive, un trial che aveva messo in luce l’effetto di riduzione del rischio cardiovascolare ottenibile nei pazienti diabetici trattati con pioglitazone” ricorda Paolo Pozzilli ordinario di Endocrinologia all’Università Campus Biomedico di Roma e Direttore dell’UOC di Endocrinologia e Diabetologia della stessa Università. “Tra gli effetti collaterali del farmaco si era vista una percentuale più alta di fratture nelle donne trattate con il glitazonico”.

Nel caso di pioglitazone, inoltre, la maggior parte delle fratture si era verificata in donne al di sopra dei 55 anni (presumibilmente in post-menopausa.). Tuttavia, si legge nell’introduzione del lavoro, questi trial non erano progettati per valutare il rischio di fratture come endpoint primario e non tutti, in realtà, hanno evidenziato tale aumento.

Inoltre, scrivono i ricercatori (guidati da Harry G Bone, della Michigan Bone and Mineral Clinici di Detroit), “il meccanismo con cui i TZD potrebbero aumentare il rischio di fratture periferiche (nella porzione distale degli arti inferiori e superiori) nelle donne affette da DT2 non è chiaro”.

In più, gli studi controllati e randomizzati eseguiti per valutare gli effetti dei TDZ sull’osso nelle donne, diabetiche e non, in genere avevano un campione di piccole dimensioni e sono stati troppo brevi, sottolineano gli autori. Alcuni hanno mostrato una riduzione della BMD associata al trattamento con TDZ, ma i dati sugli effetti sui marker di rimodellamento osseo sono risultati contrastanti.

Per fare chiarezza su questo tema controverso, Bone e i suoi collaboratori hanno eseguito uno studio randomizzato, controllato e in doppio cieco al fine di valutare i possibili effetti sulla BMD e sui marker di rimodellamento osseo di un trattamento sufficientemente lungo (12 mesi) con pioglitazone in donne in post-menopausa aventi una ridotta tolleranza al glucosio e un’alterazione della glicemia a digiuno.

Gli autori hanno arruolato in totale 156 donne in menopausa da almeno 5 anni, ma di età non superiore ai 70, e le hanno trattate in rapporto 1:1 con pioglitazone 30 mg/d per il primo mese, poi aumentato a 45 mg/die, oppure placebo per un totale di 12 mesi, seguiti da 6 mesi di washout/follow-up.

L’enpoint primario era la variazione percentuale rispetto al basale della BMD (valutata medianti scansioni DXA) a livello del femore prossimale totale dopo 12 mesi., mentre l’endpoint secondario principale era la variazione percentuale dello stesso parametro dal mese 12 al mese 18. Altri endpoint secondari erano la variazione nei due intervalli temporali della BMD total body e a livello del collo del femore, della colonna lombare e del radio. Inoltre, sono state misurate le variazioni rispetto al basale dei parametri di controllo glicemico e di sensibilità all’insulina, dei marker dell’infiammazione e di altre variabili antropometriche, oltre, naturalmente, agli effetti avversi.

La maggior parte delle partecipanti era di razza bianca, l’età media era di circa 60 anni e il BMI medio era di 30 kg/m2. Le altre caratteristiche di base erano in genere ben bilanciate tra i due gruppi, così come lo è risultata la compliance al trattamento. 

L’analisi dei dati non ha evidenziato differenze significative tra i due bracci di trattamento negli effetti sulla BMD. La variazione media dei minimi quadrati alla fine dei 12 mesi di trattamento, a livello femorale, è risultata, infatti, pari a -0,69% nel gruppo pioglitazone e -0,14% nel gruppo placebo (P = 0,170).

Inoltre, non si sono trovate differenze significative tra i due gruppi nemmeno nella variazione media dei minimi quadrati dalla fine del trattamento ai 6 mesi successivi, variazione che è stata rispettivamente pari a -0,14% contro -0,04%.

Nessuna variazione significativa tra i due gruppi, in entrambi i momenti di valutazione, nemmeno sulla variazione della BMD in toto o a livello del collo del femore, del radio e della colonna lombare.

Anche le variazioni dei marker di rimodellamento osseo hanno dato risultati comparabili nel gruppo in trattamento attivo e in quello di controllo, sia quelli di formazione di nuovo osso (come l’osteocalcina e il propeptide N-terminale del procollagene di tipo 1), sia quelli di riassobimento osseo (come il telopeptide C-terminale del collagene di tipo I cross-linkato).

Come previsto, il trattamento con pioglitazone ha migliorato in modo significativo il controllo glicemico e la sensibilità all’insulina rispetto al placebo, oltre a ridurre i livelli dei marker infiammatori come l’IL.6, il TNF alfa, il PAI-1 e la proteina C reattiva ad alta sensibilità. Questi effetti ben noti di pioglitazone si sono attenuati o sono scomparsi dopo 6 mesi dalla sospensione del trattamento.

Da segnalare anche che pioglitazone, rispetto al basale, è sembrato aumentare il grasso corporeo. “Ma questo è un effetto ben noto del glitazonico, che non deve destare particolare preoccupazione” segnala Pozzilli.

L’ipoglicemizzante si è, inoltre, dimostrato superiore al placebo nel prevenire la progressione dell’insulino-resistenza verso uno stato di diabete franco. Infatti, nei 18 mesi del trial, le donne che hanno sviluppato un DT2 conclamato sono state solo l’1,3% nel gruppo pioglitazone e il 10,3% nel gruppo di controllo.

Durante lo studio si sono verificate tre fratture nel gruppo placebo e una nel gruppo trattato con pioglitazone e il pattern e l’incidenza degli effetti collaterali sono risultati coerenti con quelli già noti in base all’esperienza clinica accumulata sul farmaco.

Inoltre, non sono emersi segnali di un aumento del rischio di fratture con pioglitazone rispetto al placebo. Ovviamente, avvertono gli autori, sarebbe necessario uno studio controllato e randomizzato più ampio e con un’esposizione al farmaco più lunga per valutare in modo specifico gli effetti di questo TDZ sul rischio di fratture.

Sulla base di questi risultati, gli autori concludono, comunque, che lo studio smentisce l’esistenza di un nesso causale tra un trattamento prolungato con pioglitazone e perdita di massa ossea o alterazione del rimodellamento osseo, che potrebbero esitare in un’eccessiva fragilità dell’osso, nelle donne in post-menopausa con prediabete.

“Questi dati contrastano con quelli degli studi fatti su rosiglitazone, che avevano evidenziato riduzioni sia della BMD sia dei marker di formazione ossea e aumenti dei marker di riassorbimento osseo associati a questo farmaco” osservano poi Bone e i colleghi, rimarcando così la differenza con l’altro TDZ, non più disponibile..

Tra i limiti dello studio, segnalano i ricercatori, c’è innanzitutto l’impossibilità di estrapolare i risultati alle donne non ancora in menopausa e agli uomini. Tuttavia, osservano, il timore del possibile aumento del rischio di fratture associato all’uso di pioglitazone (che aveva portato l’Fda a diramare un warning al riguardo) era emerso nello specifico nelle donne over 55, che presumibilmente sono già in post-menopausa.

Inoltre, commenta Pozzilli, “i dati del nuovo studio vanno ad aggiungersi a quelli di altro trial randomizzato, controllato e in doppio cieco in cui sono stati valutati gli effetti di pioglitazione sullo scheletro in un gruppo di pazienti diabetici e con prediabete di entrambi i sessi, e non solo donne”. Anche in questo lavoro, un trattamento prolungato con il farmaco non ha evidenziato effetti consistenti negativi sulla BMD o sul rimodellamento osseo.

“L’insieme delle nuove evidenze, dunque, ridimensiona molto il problema del pioglitazone come agente in grado di favorire la comparsa di lesioni ossee e ci consente di usare con tranquillità un farmaco molto interessante come meccanismo d’azione, che certamente ha risentito del dramma del suo compagno di classe rosiglitazone” conclude l’endocrinologo.

H.G. Bone, et al. Effects of pioglitazone on bone in postmenopausal women with impaired fasting glucose or impaired glucose tolerance: a randomized, double-blind, placebo-controlled study. J Clin Endocrinol Metab. 2013 Dec;98(12):4691-701. Doi: 10.1210/jc.2012-4096.

 

da PHARMASTAR