Diabete tipo 2, dimagrire non basta per ridurre il rischio cardiovascolare

La semplice perdita di peso, da sola, non è sufficiente a ridurre il rischio di eventi cardiovascolari nei pazienti adulti con diabete di tipo 2 (DT2) obesi o in sovrappeso. È questo il verdetto dello studio Look AHEAD, uno studio multicentrico randomizzato appena presentato al congresso dell’American Diabetes Association  (ADA), a Chicago, e pubblicato in contemporanea sul New England Journal of Medicine.

Lo studio, finanziato dai National Institues of Health, era stato interrotto lo scorso ottobre per inutilità interrotto dopo un follow-up mediano di 9,6 anni, una volta capito che non avrebbe raggiunto l’obiettivo 

L’end point primario, dato dalla combinazione di decessi per cause cardiovascolari, infarto miocardico non fatale, ictus non fatale o ricoveri dovuti ad angina, si è verificato in 403 pazienti nel braccio sottoposto al programma intensivo per calare di peso diminuendo l’apporto calorico e aumentando l’attività fisica e in 418 pazienti nel braccio di controllo (che fruivano di un programma informativo e di un generico ‘supporto sociale’), ma la differenza tra i due gruppi non è statisticamente significativa. Inoltre, non è emersa alcuna differenza statisticamente significativa tra i due bracci nemmeno per quanto riguarda gli endpoint secondari.

William Knowler, del National Institute of Diabetes and Digestive Kidney Diseases (NIDDK), uno degli autori del trial, ha detto che l’obiettivo di presentare i risultati è dare informazioni ai pazienti e ai loro medici. “La perdita di peso ha molti benefici nel lungo periodo” ha detto Knowler “ma tra questi, quanto meno nell’arco dei 10 anni indagati dallo studio, non vi è la riduzione del rischio di infarto e ictus. Pertanto, i pazienti che si impegnano a dimagrire, dovrebbero farlo, ma non con questa aspettativa”.

Knowler, infatti, ha presentato dati dello studio che mostrano come il programma di cambiamenti dello stile di vita (basato su dieta e incremento dell’attività fisica per calare di peso) abbia avuto benefici notevoli su altri fronti, per esempio, una riduzione del 31% del rischio di nefropatia avanzata, che è associata a un alto rischio di progressione verso insufficienza renale, malattie cardiovascolari o decesso. Inoltre, nel gruppo sottoposto all’’intervento sullo stile di vita si è osservata una riduzione significativa del 14% del rischio di retinopatia diabetica. Nessuna differenza, invece, nel tasso di neuropatia diabetica.

Come previsto, il gruppo che seguiva il programma di intervento sullo stile di vita ha ottenuto un calo ponderale significativamente maggiore rispetto ai pazienti nel braccio di controllo. Dopo un anno la perdita di peso è stata dell’8,6% rispetto al solo 0,7% dei controlli. Col passare del tempo, la differenza tra i due gruppi si è attenuata, ma è rimasta statisticamente significativa e, al termine dello studio, la perdita di peso media rispetto al basale è stata del 6,0% nel braccio in trattamento attivo contro 3,5% nel braccio di controllo.

Nel primo gruppo sono migliorati anche il livello di attività fisica praticata, così come altri marker di rischio metabolico, quali i livelli di emoglobina glicata e la pressione sistolica, mentre non si è osservato alcun calo dei livelli di LDL.

Rena Wing, della Brown University di Providence, coordinatrice della ricerca, ha detto che la perdita di peso ottenuta nello studio è una delle migliori mai riportate in letteratura in un trial clinico. “Look AHEAD ha mostrato che i pazienti diabetici possono perdere peso … e che questo calo ponderale ha molti effetti benefici: sul controllo glicemico e sui fattori di rischio cardiovascolare; tuttavia, non riduce il rischio di malattie cardiovascolari” ha affermato l’autrice.

Nonostante l’assenza di beneficio sugli outcome clinici, l’intervento sullo stile di vita ha determinato una riduzione significativa, del 20%, dei casi di depressione di nuova diagnosi, nonché miglioramenti significativi nella qualità della vita. “Sappiamo che il diabete e l’obesità sono associati indipendentemente l’uno dall’altro ad alti tassi di morbilità e mortalità, nonché a un aumento del rischio di depressione e a una diminuzione della qualità di vita” ha detto l’autrice che ha presentato i dati al congresso ADA, Lucy Faulconbridge (della University of Pennsylvania di Philadelphia) durante la conferenza stampa in cui si è parlato dello studio. Nei soggetti diabetici, ha aggiunto la ricercatrice, la depressione sembra essere particolarmente dannosa ed è associata a una cattiva autogestione della malattia, a iperglicemia persistente e a un’incidenza elevata di complicanze legate al diabete. “Ridurre la depressione e migliorare la qualità della vita nei soggetti diabetici obesi è un obiettivo clinico cruciale” ha affermato la Faulconbridge.

Knowler ha aggiunto che il miglioramento degli outcome microvascolari, ma non delle manifestazioni cliniche, non è sorprendente, soprattutto perché la relazione tra le manifestazioni cliniche e il miglioramento del controllo glicemico, da un lato, e la riduzione della pressione arteriosa, dall’altro, è più forte che non quella con gli eventi macrovascolari.

Ragionando sul perché il trial non sia riuscito a dimostrare una differenza sugli outcome cardiovascolari, gli autori osservano che la differenza nella perdita di peso tra i due bracci è stata in media del 4,0% nel corso dello studio, ma solo del 2,5% alla fine, e che una differenza così piccola potrebbe non essere stata sufficiente per vedere un effetto sugli eventi cardiovascolari.

Inoltre, aggiungono, “l’intensificazione della gestione farmacologica dei fattori di rischio cardiovascolare nei due gruppi nel corso dello studio potrebbe aver reso più difficile da dimostrare il beneficio relativo dell’intervento sullo stile di vita”, tanto più che l’uso di antipertensivi, statine e l’insulina risultato significativamente inferiore nel gruppo sottoposto all’intervento rispetto al gruppo di controllo.

Hertzel Gerstein, della McMaster University di Hamilton), nel suo editoriale di commento, scrive appunto che tali differenze nell’uso di farmaci cardioprotettivi potrebbero avere influito sull’assenza di effetto sugli outcome clinici e aggiunge che gli interventi sullo stile di vita potrebbero realmente avere un effetto sugli outcome cardiovascolari, ma la riduzione del rischio è probabilmente nel range del 10-15%, simile a quella ottenuta con la terapia ipoglicemizzante.
The Look AHEAD Research Group. Cardiovascular effects of intensive lifestyle intervention in type 2 diabetes. N Engl J Med 2013; DOI:10.1056/NEJMoa1212914.
http://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa1212914

 

 

da PHARMASTAR