Diabete e salute degli occhi: con l’intelligenza (anche artificiale) si può fermare la retinopatia

Passano gli anni e la glicemia alta, pian piano, danneggia la retina. Silenziosamente, inesorabilmente si sviluppa una malattia che può portare fino alla cecità: si stima che nel corso della vita accada a una persona con diabete su tre, ma la retinopatia diabetica è un problema che in realtà potrebbe essere prevenuto e diagnosticato in tempo, per essere curato in maniera efficace, con una facilità disarmante. Non servono infatti chissà quali strumenti per accorgersi se qualcosa non va, basta guardare il fondo dell’occhio: lo screening della retinopatia diabetica è semplice ed economico.
«Per la diagnosi della retinopatia diabetica è sufficiente guardare il fondo oculare con un oftalmoscopio, uno strumento che qualsiasi oculista possiede; per capire a che stadio sia possono servire esami più sofisticati, ma accorgersi se c’è o meno è semplicissimo», spiega Francesco Maria Bandello, docente di Oftalmologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presidente dell’Associazione Pazienti Retina. «Per giunta, oggi questo primo passo può essere fatto in maniera completamente automatizzata: in passato serviva l’oculista per osservare l’occhio, oggi ci sono apparecchi che fotografano il fondo oculare e applicando algoritmi di Intelligenza artificiale alle immagini individuano con elevatissima sensibilità la presenza o meno della retinopatia diabetica, indicando anche se il paziente possa tornare per controlli dopo qualche mese perché non ci sono elementi di pericolo o se invece sia opportuno sottoporsi a ulteriori test ed eventuali terapie perché la patologia richiede immediata attenzione».

I sistemi automatici di valutazione del fondo oculare si stanno dimostrando molto efficaci per lo screening di primo livello, ovvero per valutare tutti i pazienti con diabete di tipo 1 o 2 in modo da identificare quelli in cui ci sono le avvisaglie di un disturbo retinico: di recente per esempio sul Diabetes & Obesity International Journal uno studio italiano ha messo a confronto le diagnosi dell’oculista con un algoritmo (Dairet , per Diabetes Artificial Intelligence for RETinopathy), ed è emerso che il metodo ha una sensibilità pari al 91.6 per cento nell’individuare i pazienti con retinopatia lieve, del 100 per cento nel riconoscere quelli con malattia di grado moderato, a fronte di una specificità dell’82.6 per cento.

«La sensibilità si riferisce alla capacità di determinare se la retinopatia sia o meno presente: se fosse bassa, rischieremmo di non individuare i malati», interviene Enrico Borrelli, oculista dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano e vice presidente della Young Ophthalmologists Retinal Imaging Society (Yoris). «La specificità invece è la capacità dello strumento di indicare se la presenza di retinopatia sia vera o falsa: se è bassa, è possibile che un paziente inviato in ospedale con la diagnosi di retinopatia in realtà sia sano. Gli algoritmi di Intelligenza artificiale usati oggi hanno un’elevata sensibilità, sono perciò utili per programmi di screening perché possiamo essere certi di non “perdere” pazienti, specie quelli con una malattia di grado più avanzato e quindi più bisognosi di attenzione medica immediata: per la retinopatia di grado più serio la sensibilità è elevatissima». Accorgersi se la retina inizia a mostrare segni di sofferenza, quindi, è facile e per questo gli oculisti chiedono che si prevedano screening specifici per le persone con diabete.

Uno studio recente ha dimostrato che perfino in un Paese enorme e complicato come la Cina usare metodi basati su Intelligenza artificiale e telemedicina avrebbe un rapporto costo-beneficio positivo e riuscirebbe a scovare i casi perfino nelle zone rurali più sperdute. Del resto, la tecnologia si sta semplificando al punto che esistono strumenti capaci di scattare foto della retina ad alta definizione e che si possono montare su uno smartphone, assieme a un algoritmo di Intelligenza artificiale: lo consente per esempio RetinaScope, un progetto dell’Università del Michigan, che trasforma il cellulare in una sorta di oftalmoscopio a basso costo. «Lo screening per la retinopatia diabetica soddisfa tutti e quattro i requisiti che deve avere un programma per essere sostenibile», riprende Bandello. «Il test infatti è molto economico ed esiste un bacino di popolazione ben definito e ampio su cui applicarlo, ovvero i circa 4 milioni e mezzo di italiani con diabete; inoltre, il test ha la capacità di individuare a quale stadio sia la malattia ed esistono terapie efficaci, che rendono perciò utile e vantaggioso diagnosticare tempestivamente i nuovi casi.
Una strategia di screening porterebbe benefici ai pazienti, che potrebbero conservare una buona capacità visiva, e al Sistema sanitario nazionale, perché la spesa per le terapie di una patologia di grado lieve o moderato è inferiore rispetto a quella da sostenere quando la situazione è compromessa e serve un intervento chirurgico». I metodi basati sull’Intelligenza artificiale hanno dimostrato di essere utilizzabili fuori dagli studi clinici e di poter riconoscere chi ha la retinopatia in maniera economica, efficace e pure rapida, visto che in media basta un minuto per avere il responso; finché però non ci saranno programmi di screening organizzati è comunque opportuno che tutte le persone con diabete vengano periodicamente visitate dall’oculista, perché la malattia non dà sintomi a meno di essere in uno stadio avanzato. La Società Italiana di Diabetologia (Sid), per esempio, raccomanda una visita oculistica completa entro 5 anni dalla diagnosi di diabete di tipo 1 o 2 e poi controlli ogni 2 anni, se non ci sono segni di danni alla retina, oppure annuali o più ravvicinati in caso di lesioni già presenti.
La retinopatia diabeticasi può prevenire se l’emoglobina glicata, il parametro indicativo dell’andamento della glicemia negli ultimi 2-3 mesi, si mantiene al di sotto del 7 %. Lo ha dimostrato di recente una ricerca svedese pubblicata su Diabetes Care, per la quale sono state seguite per oltre 30 anni poco meno di 500 persone con una diagnosi di diabete di tipo 1: se l’emoglobina glicata si mantiene al di sotto di questo limite la probabilità di danni oculari e ai reni è bassa. «I dati raccolti a 20 anni di distanza dalla diagnosi avevano indicato un limite di emoglobina glicata un poco più elevato: con il passare degli anni, quindi, la soglia oltre cui sale la probabilità di complicanze sembra gradualmente abbassarsi», specifica l’autore dello studio Hans Arnqvist dell’Università di Linköping.

Conferma l’importanza del controllo glicemico nel lungo periodo anche Stela Vujosevic, responsabile del Servizio di Retina Medica, Gruppo MultiMedica di Milano: «La glicemia dovrebbe essere mantenuta costante più possibile perché le oscillazioni, specialmente le ipoglicemie, sono negative sulla retina; la retinopatia poi è più probabile se ci sono altri fattori di rischio come l’ipertensione arteriosa (si è verificato per esempio che controllare bene la pressione nelle persone con diabete riduce del 37 % il rischio, ndr) o danni a cuore e reni, ma i livelli glicemici e gli anni di malattia sono i due elementi di rischio maggiori». Il danno retinico infatti si sviluppa nel tempo e come spiega Francesco Maria Bandello, docente di Oftalmologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presidente dell’Associazione Pazienti Retina: «La retinopatia è l’espressione a livello oculare delle lesioni che l’organismo subisce essendo esposto a livelli eccessivi di glicemia.

In passato si riteneva che la causa fosse una semplice alterazione del microcircolo oculare e quindi la retinopatia fosse un problema di vasi sanguigni più fragili, oggi sappiamo che altri due elementi contribuiscono al danno: la neuropatia retinica, ovvero l’alterazione del nervo ottico conseguente alla glicemia alta, e l’infiammazione locale che si accompagna a questi fenomeni». Il risultato è la retinopatia, che è detta non proliferante quando i vasi sanguigni sono deboli, possono occludersi o anche sanguinare ma non sono aumentati di numero; le anomalie del microcircolo però riducono l’apporto di ossigeno alla retina e in risposta a questo si stimola la formazione di nuovi vasi sanguigni anch’essi molto fragili, che sanguinano ancora più facilmente. «È la retinopatia proliferante, la forma più grave», dice Bandello. «Entrambe le tipologie possono complicarsi con l’edema maculare, un accumulo di liquidi al centro della retina che è la causa principale della riduzione della vista nelle persone con diabete. Tutto ciò però può essere ampiamente scongiurato con una diagnosi precoce e un’adeguata terapia». Una gestione adeguata della retinopatia diabetica proliferante, per esempio, può ridurre del 90% il rischio di sviluppare cecità a cinque anni.