Diabete di tipo 2, liraglutide riduce il rischio di progressione della nefropatia

Il trattamento con il GLP1-agonista liraglutide ha ridotto del 22% il rischio di progressione della nefropatia in pazienti con diabete di tipo 2. Lo rivela una nuova analisi dello studio LEADER (Liraglutide Effect and Action in Diabetes: Evaluation of Cardiovascular Outcome Results), appena presentata a Chicago all’American Society of Nephrology’s Kidney Week.

Gli ultimi risultati dello studio, che ha coinvolto oltre 9300 pazienti, vanno ad aggiungersi ai benefici già evidenziati di liraglutide nel ridurre il rischio di eventi avversi cardiovascolari nelle persone affette da diabete di tipo 2.

“Ora abbiamo farmaci che non solo abbassano la glicemia, ma hanno anche un impatto sullo sviluppo della nefropatia diabetica e delle malattie cardiovascolari” ha detto Johannes Mann, dell’Università di Erlangen-Norimberga, presentando il lavoro durante la sessione plenaria del congresso. “Anche gli outcome cardiovascolari sono importanti, perché i pazienti con nefropatia cronica hanno un rischio molto più alto di malattie cardiovascolari, perciò è importante valutare entrambi gli outcome” ha aggiunto l’autore.

Lo studio LEADER è un trial randomizzato, controllato e in doppio cieco che ha coinvolto 9340 pazienti con diabete di tipo 2, malati in media da circa 13 anni, con un livello basale di emoglobina glicata (HbA1c) pari o superiore al 7%. Alcuni non avevano mai preso farmaci antidiabetici, altri erano in terapia con antidiabetici orali e/o insulina basale/premiscelata. Inoltre, i partecipanti avevano non meno di 50 anni e malattie cardiovascolari conclamate e una nefropatia cronica oppure non meno di 60 anni e fattori di rischio di malattie cardiovascolari.

Sono stati, invece, esclusi dallo studio i pazienti con diabete di tipo 1, quelli già trattati con GLP1-agonisti, inibitori della DPP4, pramlintide o insulina ad azione rapida e quelli con una storia personale o famigliare di neoplasia endocrina multipla di tipo 2 o carcinoma midollare della tiroide.

I partecipanti sono stati assegnati al trattamento con liraglutide 0,6-1,8 mg sottocute (4668 pazienti) o un placebo (4672 pazienti) per almeno 3,5 anni, per massimo di 5 anni, e il follow-up medio è stato di 3,8 anni.

Al basale, il 26,4% del pazienti del gruppo liraglutide e il 26,6% dei controlli presentava microalbuminuria, mentre il 10% e l’11%, rispettivamente, presentava macroalbuminuria; inoltre, rispettivamente il 23,9% e il 22,3% presentava una velocità stimata di filtrazione glomerulare (eGFR) inferiore a 60 ml/min/1,73 m2.

In questa analisi dello studio, l’outcome primario renale era rappresentato dalla combinazione dello sviluppo di macroalbuminuria, del raddoppio della creatinina sierica, della presenza di nefropatia in fase terminale e dei decessi per cause renali.

Liraglutide si è dimostrata superiore al placebo nel ritardare gli eventi che costituivano l’endpoint primario (HR 0,78; IC al 95% 0,67-0,92; P < 0,003). Il risultato è stato determinato soprattutto dalla riduzione nello sviluppo di macroalbuminuria (HR 0,74; IC al 95% 0,60-0,91; P = 0,004), mentre il trattamento non è stato significativamente efficace sul raddoppio della creatinina sierica (HR 0,89; IC al 95% 0,67-1,19) o la necessità di dialisi (HR 0,87; IC al 95% 0,61-1,24).

Il calo dell’eGFR è stato inferiore nel braccio trattato con liraglutide, anche se la protezione renale del farmaco è risultata limitata ai soggetti con un’eGFR basale compresa fra 30 e 59 ml/min/1,73 m2.

Il trattamento con liraglutide, inoltre, non è risultato associato a un aumento del rischio di eventi avversi renali.

“I risultati renali dello studio LEADER sono solidi, ma non sembrano impressionanti come quelli dello studio EMPA-REG su empagliflozin, che ha mostrato anch’esso un beneficio del farmaco sugli outcome renali nei pazienti con diabete di tipo 2” ha commentato Joel Topf, del centro St. Clair Nephrology Research di Detroit.

L’esperto ha espresso qualche perplessità per il fatto che l’endpoint primario fosse rappresentato dalla combinazione di quattro eventi, l’ultimo dei quali, lo sviluppo della macroalbuminuria, è l’outcome meno preoccupante, ma è anche quello che ha determinato in gran parte il risultato. 

Anche se gli outcome renali dei pazienti trattati con liraglutide non sono stati impressionanti come quelli ottenuti con empagliflozin, quest’ultimo “è limitato ai pazienti la cui funzione renale è in gran parte intatta, mentre liraglutide si può utilizzare anche in quelli con ridotta funzionalità renale” ha osservato Topf.

Nel complesso, “questo è uno studio importante con implicazioni positive per i nostri pazienti” ed “è bello vedere che gli antidiabetici vengono testati anche per il loro effetto sugli outcome renali, oltre che per la loro capacità di abbassare l’HbA1c” ha concluso l’esperto.

Alessandra Terzaghi

 

 

 

 

Da PHARMASTAR.IT