Diabete di tipo 1: per la Giornata Mondiale del Diabete, la prima campagna di awareness completamente creata da giovani e adulti con la malattia

Dodici tra bambini, ragazzi e adulti, si sono messi in gioco per raccontare la loro malattia, il diabete di Tipo 1 (T1D), e farla comprendere meglio a chi non la conosce. Si sono resi protagonisti di uno spot interamente scritto ed interpretato da loro stessi e di una campagna sui social nella quale raccontano l’esordio della malattia, spesso traumatico, e il loro rapporto con una patologia inguaribile e molto complessa da gestire.

#aiutaciaguarire è il nome e il messaggio, chiarissimo, della campagna “partecipativa” che partirà su molti canali del digitale terrestre e su Sky il 14 di novembre (Giornata Mondiale del Diabete) patrocinata dalla Fondazione Italiana Diabete, che raccoglie fondi per la ricerca di una cura definitiva al Diabete di Tipo 1.

Lo spot, dove a parlare è in prima persona proprio una donna malata di diabete di tipo 1, narra con molta dolcezza la storia dell’amicizia tra un bimbo e una bimba con diabete di tipo 1, che poi diventano adolescenti e infine adulti, allontanandosi. Il senso di solitudine e difficoltà, che si coglie nel corso della storia, si dirada alla fine quando la bambina, ormai divenuta donna torna nel passato e prende per mano il bimbo e il bimbo ormai uomo, torna a prendere per mano la bambina. In un messaggio di empatia, aiuto, accoglienza, a significare che assieme, solo con gli altri e nonostante la malattia, si può andare avanti, guardando con speranza al futuro e alla cura definitiva che potrà far guarire tutti.

“Mi è venuto da bambina e non ho potuto fare nulla per prevenirlo. Devo solo iniettarmi l’insulina, tante volte al giorno, tutti i giorni, tutta la vita. Altrimenti, muoio. Voglio che nessun bambino si ammali più di diabete di tipo 1. Voglio guarire! Sostieni la ricerca, aiutaci a guarire” è una parte del testo dello spot in cui persone con diabete di ogni età sono ritratte nei loro ripetitivi gesti quotidiani per controllare la malattia, tra le punture di insulina, i microinfusori, i sensori, le crisi ipoglicemiche, lo zucchero.

“Per noi è importante che il Diabete di tipo 1 venga conosciuto per quello che è, senza edulcorarlo o drammatizzarlo” dice Nicola Zeni, Presidente della Fondazione Italiana Diabete “per questo sono proprio le persone con diabete, come mio figlio Ludovico o come il Direttore Generale della Fondazione, Francesca Ulivi, a raccontarlo in prima persona”

Aggiunge Ulivi “la società non conosce questa malattia, la confonde con il diabete di Tipo 2, che non è una malattia autoimmune e che colpisce prevalentemente adulti e anziani in condizioni di sedentarietà e sovrappeso e non comprende perché debba finanziarne la ricerca di una cura. Questa invece è una malattia invisibile, in cui il peso della gestione e delle complicanze è un macigno psicologico e fisico che ogni malato è costretto a portare a vita, finché la ricerca non troverà una cura. Chi meglio di noi malati lo può raccontare?”.

L’immagine del macigno, del peso sulle spalle ritorna in molte delle testimonianze delle persone con diabete raccolte e riproposte sui social con l’hashtag #aiutaciaguarire.

Marco ha 12 anni, il diabete di tipo 1 da quando aveva un anno e mezzo e riassume tutti in una frase: “definirei il diabete come un peso da portare per tutta la vita, fin quando non troveranno la cura per guarirmi”

Per Sara, 20 anni, nazionale di Basket, “è uno zaino molto pesante, un pensiero fisso di cui non ci si può dimenticare e un insieme di moltissimi numeri da gestire”

“E’ subdolo perché ti lascia in una apparente normalità e ti colpisce nella tua quotidianità”, così definisce la malattia Luigi, che ha 55 anni, di cui più di 50 vissuti col diabete di tipo 1.

“E’ come fosse un freno a mano” dice Gabriele, 36 anni e 28 di diabete, “una grandissima rottura di scatole” per Prisca, fotomodella ventunenne, diabetica di tipo 1 da 8 anni.

Francesca, 49 anni, da 9 con il diabete di tipo 1 parla del suo esordio: “il medico ha scritto sui documenti ‘a vita’ e mi ha spiegato che l’insulina ci tiene in vita, ma non ci cura, e queste parole, ‘a vita’ mi hanno fatto male, anche se avevo 40 anni, ma ho immaginato a 2, 5, 10 anni e ti dicono che avrai una malattia per tutta la vita. Questo fa male perché non puoi nemmeno avere la speranza di combattere la malattia e guarire”

Regia, direzione e produzione dello spot sono a cura del Team di Komm Unit e Kuraro Productions guidate da Antonio Fazio e Moreno Salvigni.

Il diabete di tipo 1, spesso confuso con il più diffuso diabete di tipo 2, con il quale però non ha nulla a che fare, è infatti una malattia autoimmune, causata da un “corto circuito” del sistema immunitario che scatena contro le cellule pancreatiche che producono l’insulina (beta cellule) degli autoanticorpi che le distruggono. La scienza conosce questo processo, tipico di tutte le altre malattie autoimmuni come ad esempio la più nota Sclerosi Multipla, ma non sa ancora a quale causa si debba la sua origine. La malattia non è quindi oggi guaribile né prevenibile, anche se alcuni anticorpi monoclonali stanno dando i primi risultati nel rallentarne l’evoluzione in fase di esordio. L’unico modo per sopravvivere per le persone colpite è iniettare insulina molte volte al giorno, per tutta la vita. La terapia insulinica per un diabetico di tipo 1, il cui corpo non produce più insulina, è una delle terapie più complesse che esista in clinica, perché il fabbisogno è determinato da molti fattori diversi (non solo dal cibo ingerito ma anche, ad esempio, dal livello di attività fisica e dall’ansia anche solo per un compito in classe), le dosi nella quotidianità – dopo un iniziale set-up con il diabetologo – vengono decise autonomamente dai pazienti e l’ormone esogeno, se iniettato in eccesso o in difetto, può causare svariate complicanze acute o croniche, tra cui il coma (per ipoglicemia o all’opposto per chetoacidosi diabetica) e la morte. Secondo gli studi più aggiornati, un diabetico di tipo 1 ha una aspettativa di vita di circa dieci anni inferiore rispetto alla media. La vita con il diabete di tipo 1 è migliorata incredibilmente grazie alla ricerca su farmaci e tecnologie (nuove insuline, sensori, microinfusori, pancreas artificiale), ma la malattia rimane inguaribile, non prevenibile e di estrema complessità gestionale. L’esordio è spesso un trauma per famiglie e malati, nel 50% dei casi il diabete di tipo 1 infatti insorge nei bambini. In tutto i malati nel nostro paese sono circa 300 mila.

 

 

 

FONDAZIONE ITALIANA DIABETE ONLUS – FID
Da dieci anni FID è l’unica Fondazione in Italia dedicata esclusivamente alla raccolta fondi per la ricerca di una cura definitiva al diabete di tipo 1, la forma autoimmune della malattia, che nella metà dei casi esordisce da bambini o adolescenti. La Fondazione è stata creata dai genitori di un ragazzo che si è ammalato di diabete di tipo 1 a 18 mesi ed è gestita interamente da persone colpite dalla malattia. In Italia sono circa 300 mila le persone colpite dal Diabete di Tipo 1, che necessita di insulina iniettata sin dall’esordio e per tutta la vita. Fondazione Italiana Diabete raccoglie fondi in maniera autonoma e indipendente da aziende farmaceutiche, istituzioni e società scientifiche e li distribuisce, su base competitiva, ai migliori istituti di ricerca e università, impegnati nel trovare una cura definitiva a questa malattia autoimmune che sconvolge la vita dei malati e delle loro famiglie.
www.fondazionediabete.org

Contatti stampa: Francesca Ulivi – Direttore Generale e Comunicazione FID:

francesca.ulivi@fondazionediabete.org – 3341322416