Cortisone e iperglicemia: guida pratica per la gestione del paziente reumatologico

In molte condizioni reumatiche il cortisonico è ancora oggi considerato una panacea, specialmente nella fase acuta. 
Rapidità d’azione e basso costo ne consentono un utilizzo diffuso, ma gli effetti indesiderati sviluppati sul lungo termine, o a seguito di dosaggi elevati, rendono i cortisonici poco sicuri e maneggevoli.

Iperglicemia o diabete conclamato rappresentano uno degli effetti indesiderati più comuni, la cui prevalenza è stimata intorno al 10-20%. La fisiopatologia dell’iperglicemia o del diabete di nuova insorgenza indotto da cortisone (new onset steroid-induced diabetes, NOSID) è multifattoriale, ma il prevale il meccanismo di resistenza all’insulina.
Una review appena pubblicata sulla rivista italiana Clinical and Experimental Rheumatology ci offre una guida pratica e utile per la gestione del paziente reumatologico che inizia una terapia a base di cortisonici (1).

Riportiamo di seguito, in maniera sintetica, le principali indicazioni degli autori:

INIZIO DELLA TERAPIA CORTISONICA

•    Pazienti non diabetici con glicemia normale: dovrebbero misurare la glicemia prima e dopo l’inizio del cortisonico. Le misurazioni (stick domiciliare) dovrebbero essere effettuate con più frequenza nei primi 2-3 giorni, sia a digiuno che 2 ore dopo il pasto (colazione e pranzo in particolare). Se i livelli risultano alterati, è necessario eseguire un’analisi del sangue.

•    Pazienti diabetici o con alterata tolleranza al glucosio (impaired glucose tolerance, IGT): è solitamente necessario aumentare il dosaggio degli antidiabetici e monitorare con maggior frequenza i livelli di glicemia. Questi pazienti dovrebbero essere seguiti sempre da uno specialista. 

MONITORAGGIO DELLA TERAPIA CORTISONICA

•    Pazienti con NOSID: devono ricevere un trattamento antidiabetico, allo scopo di mantenere livelli di glucosio a digiuno compresi fra 70 e 130 mg/dl (3,9-7,2 mmol/l) e <180 mg/dl (10mmol/l) 2 ore dopo i pasti. Infatti, una iperglicemia post-prandiale di breve durata è comunque associata a disfunzione endoteliale, sia in presenza che in assenza di un diabete conclamato.

•    Controllo della glicemia: il momento ottimale per effettuare lo stick glicemico deve essere stabilito sulla base del profilo farmacocinetico del cortisonico somministrato.
– Prednisone (Deltacortene), metilprednisolone (Medrol, Urbason) e desametasone (Decadron): il loro picco plasmatico si verifica dopo circa un’ora dall’assunzione e la loro emivita è di circa 2,5 ore. Tuttavia, da un punto di vista farmacodinamico, il picco del loro effetto si verifica dopo 4-8 ore dall’assunzione, con una durata d’azione di circa 12-16 ore (il desametasone raggiunge anche le 20 ore).   
– Questo spiega perché i pazienti con NOSID abbiano spesso livelli di glucosio normali a digiuno, specialmente al mattino, ma più elevati livelli dopo i pasti e anche al digiuno nel corso della giornata, che ritornano normali la sera. 
– Se la terapia viene somministrata nel rispetto dei ritmi circadiani della produzione di steroidi endogeni, ovvero in una unica dose mattutina, fa sì che la glicemia sia più stabile nel corso della giornata.

INTERVENTO

•    Dieta e esercizio fisico: ogni paziente che inizia un trattamento a base di steroidi dovrebbe adottare queste misure preventive. Sfortunatamente molti pazienti reumatologici hanno una ridotta capacità di condurre attività fisica e la dieta da sola non è sempre sufficiente.

•    Antidiabetici orali
– Farmaci Insulinosensibilizzanti (metformina e pioglitazone): sono utili in una fase iniziale in quanto riducono la resistenza all’insulina. Inoltre la metformina riduce la gluconeogenesi e ha un basso costo. La metformina inoltre non causa edema e non aggrava l’osteoporosi come il pioglitazone. La metformina è tuttavia controindicata quando la velocità di filtrazione glomerulare è ridotta (<30 ml/min) e in presenza di gravi malattie epatiche. Il pioglitazone è invece controindicato in caso di insufficienza cardiaca e malattia epatica di qualunque grado.
– Farmaci che aumentano la produzione pancreatica di insulina (sulfaniluree e glinidi): sono valide alternative terapeutiche che hanno il vantaggio di poter essere assunte prima dei pasti, riducendo la glicemia post-prandiale e risolvendo così il principale problema del diabete indotto da steroidi. Le sulfaniluree hanno però una finestra terapeutica ‘stretta’, determinando facilmente cali glicemici (non adatte quindi a pazienti anziani e con bassa velocità di filtrazione glomerulare). 
– Farmaci che agiscono sul sistema della incretine (inibitori della DPP-4 e analoghi del GLP-1): possono essere usati nei pazienti con NOSID con o senza metformina, ma hanno le stesse limitazioni della metformina e costi più elevati. Inoltre gli effetti degli agonisti del GLP-1 non sono stati ancora studiati in questo tipo di pazienti.

•    Insulina: ha molti vantaggi e sembra una scelta ragionevole, soprattutto quando la glicemia a digiuno o quella postprandiale sono molto elevate (> 300 mg/dl, 16,6 mmol/l). Di tutti i farmaci disponibili, l’insulina è l’unico che può essere utilizzato anche in caso di comorbidità multiple. L’insulina non provoca interazioni farmacologiche significative, e la dose può essere regolata per soddisfare le esigenze del paziente, soprattutto quando si parte con un carico di cortisonico che viene poi lentamente o più rapidamente scalato nel tempo.

In questa revisione della letteratura Angelopoulos e colleghi descrivono in dettaglio anche i regimi terapeutici a base di insulina, da sola o combinata con ipoglicemizzanti orali, che sembrano essere maggiormente efficaci nel contrastare il diabete conclamato indotto da steroidi.

Per finire, gli autori della revisione affrontano il tema dell’effetto degli steroidi sul rischio cardiovascolare.
“La maggior parte degli studi sostengono che basse dosi di steroidi (specialmente quando utilizzati sul lungo termine), determinano un aumento più o meno significativo degli eventi cardiovascolari, sebbene non sia mai stata identificata un’associazione certa”, spiega Angelopoulos.
Inoltre in uno studio condotto su un’ampia casistica di pazienti con polimialgia reumatica, il trattamento di lungo termine con steroidi non era associato con un maggior rischio di insufficienza cardiaca, infarto del miocardio o malattie cerebrovascolari.

Una recente revisione sistematica della letteratura, che ha incluso 37 studi, ha valutato l’associazione fra rischio cardiovascolari e basse dosi di steroidi in pazienti con artrite reumatoide, considerando sia il rischio cardiovascolare che gli esiti più nefasti (insufficienza cardiaca, ictus, infarto e mortalità) (2). 
Gli autori ne sintetizzano così i risultati: “Questo studio interessante ha mostrato un effetto protettivo sul profilo lipidico sierico, un aumento di NOSID, nessun effetto significativo sulla pressione arteriosa e sull’aterosclerosi, alcune incongruenze riguardanti la rigidità arteriosa e nessun effetto sulla funzionalità ventricolare e sulla heart rate variability”.

Tuttavia “in molti degli studi vi era un’associazione con i principali eventi cardiovascolari, quali ictus e infarto del miocardio, così come un aumento del tasso di mortalità, specialmente nei pazienti con fattore reumatoide positivo”, concludono gli autori.

Francesca Sernissi

Riferimenti

1.    Angelopoulos TP, Tentolouris NK, Bertsias GK, Boumpas DT. Steroid-induced diabetes in rheumatologic patients. Clin Exp Rheumatol. 2014 Jan-Feb;32(1):126-130. Epub 2013 Oct 17. Review.
2.    Ruyssen-Witrand A, Fautrel B, Saraux A, Le Loët X, Pham T. Cardiovascular risk induced by low-dose corticosteroids in rheumatoid arthritis: a systematic literature review. Joint Bone Spine. 2011 Jan;78(1):23-30.

 

 

da PHARMASTAR