Complicatamente

Caro Luca,

Sono passati ormai tanti anni da quando, per la prima volta, sentivi nominare la parola Diabete. Era il 1979.
Eri un ragazzino felice, come tanti altri, un ottimo scolaro, una bella moto da sfoggiare con le ragazze. Avevi appena perso quell’immagine goffa ed impacciata del ragazzino obeso e deriso.
L’ultima estate, nonostante la parotite, era andata benissimo.
La parotite… Tutto cominciò da lì. Parotite, pancreatite virale acuta, forte perdita di peso. Le estati liguri che seguirono non furono molto diverse, sebbene avevi un segreto da nascondere.
Papà era fiero di te. Gli altri componenti della famiglia facevano discorso a parte, ma bisognerebbe partire ancora anteriormente.

Quando eri nato nel dicembre del 1964 dovevi essere Sara o Francesca. Nella famiglia allargata l’unico che veramente ti accettò fu tuo padre. Che si prese a cuore, dal ricovero all’ospedale San Raffaele dopo un incidente in moto e seguenti analisi del sangue fuori dalla norma, fino a quel fatale 15 dicembre 1982 la tua nuova condizione di adolescente diabetico.
Scomparso lui, ricordi? Regnò il caos e il vuoto totale. Ti impegnasti così tanto nel prenderti cura di ciò che rimaneva della tua famiglia, di una madre distrutta dal dolore, una nonna ormai troppo anziana, due fratelli maggiori completamente assenti, tanto da perdere completamente di vista te stesso e il fatto che ti dovevi curare, ben sapendo che non facendolo saresti andato incontro a spiacevoli complicazioni.
Ti eri gettato all’interno di un’esistenza pregna di avventura. Moda, serate in discoteca, in pieno showbiz.
Tutto ciò che facevi ti dava l’apparenza di un benessere vero per quanto sterile, ben lontano da quella che era la realtà. Incosciente di quello che ti stava piano piano divorando.

Passarono vent’anni. Eri un cavallo che correva a briglia sciolta. La tua presunzione, quella che ora tanto detesti negli altri, nei tuttologi del nulla, venne completamente stroncata dal male, schiavo degli eccessi e della non curanza.
Per anni facevi insulina come e quando volevi, i diabetologi erano dottori come altri, potevano esistere o meno che la tua vita non sarebbe cambiata. Non conoscevi neanche i livelli di glucosio nel sangue.
Quante volte prendevi un appuntamento per poi non andarci. Finchè ci sei stato costretto.
Lavoravi sui computer per fare foto ritocco e non riuscivi più a vedere i particolari. Avevi la febbre e pensavi fosse una influenza.

Ricordo ancora quando scendesti dall’auto di tuo fratello ed il piede si girò come una trottola. La corsa in ospedale con la febbre oltre 40º con una diagnosi di osteomielite diabetica che ti aspettava. Prima complicanza che poi si sarebbe rilevata determinante per la perdita di parte della gamba 9 anni dopo.
Ne venisti fuori dopo 1 anno e mezzo di gesso e di stabilizzatore Ilizarov. Ti sentivi un handicappato perché zoppicavi.
E subito dopo, un’altra diagnosi maligna. Retinopatia diabetica con cataratta diabetica da operare. Praticamente cominciò in quel periodo il calvario.

Pieno di sensi di colpa verso una madre che non aveva completamente metabolizzato, nonostante il passare del tempo, il lutto subito dalla perdita del marito. Una madre che assisteva muta e triste alla mia autodistruzione.
Quante fluorangiografia e quanti laser. Per ritornare a fare ciò che ti piaceva fare.
Ma ti sentivi come un drogato in astinenza. Ti mancavano le emozioni di prima e malgrado tutto in parte se non ai ritmi di prima ricominciasti a fare gli stessi errori, convinto che tanto di peggio non poteva capitare.
In parte avevi recepito ma in parte ancora rifiutavi l’accettazione completa della tua condizione. Ma ti sbagliavi.
Hai affrontato con cuore da leone la malattia bastarda della tua amata mamma. L’hai accompagnata fino alla fine. Ma avevi nuovamente perso la strada maestra.

Era il 2007. L’ulcera al piede sinistro che a causa della neuropatia non ti dava alcun dolore non era un freno. Questa volta curarla però non servì a nulla. Eri circondato da tutte le persone che in quel momento ti amavano quando la sentenza dell’ortopedico e del chirurgo vascolare suonava sinistra. Coma da shock settico.
Fu necessaria l’amputazione sotto il ginocchio ma poteva non salvarmi la vita. E invece…. Mesi e mesi di riabilitazione.
Ma avevi così voglia di rimetterti in piedi, di buttare via la sedia a rotelle, di tornare alla vita che come fu pronta la protesi la indossasti e ti misi subito a girare per l’ospedale con medici ed infermieri che ti correvano dietro.
Quella stessa protesi che continuo tutt’ora a darti un sacco di problemi e numerosi ricoveri ospedalieri. Forse da allora, anche grazie alle lezioni sul’equilibrio che ti facevano somigliare a Karate Kid imparasti a convivere con il diabete anche se nettamente in ritardo sulla tabella di marcia.
Facendo la conta dei danni. Aggiustando ciò che si poteva. Convivendo con disturbi tipici ed antipatici, come la sindrome da arto fantasma ed il cattivo assorbimento alimentare.
Come la nefropatia diabetica e una forte anemia.
Ti vedo sempre magro come un chiodo e quando ti parlano di alimentazione sana sai benissimo che ti alimenti come puoi e non come vorresti. Hai condiviso alcune volte la tua vita con persone diabetiche e questo ha fatto accrescere in te la certezza che non è uguale per tutti. Forse per questo ti sei sempre astenuto da dispensare consigli a destra e a manca.
Per questo oltre ai “maestri so tutto io” esistono dottori specializzati per ogni problematica.
Ed è proprio merito di uno di questi dottori che un infarto silente non ti ha portato via. Un diabetologo scrupoloso che ti fece fare un eco cardiogramma sotto sforzo indotto da farmaco.
Bypass aorto coronarico. Tre giorni di inferno in rianimazione. E ricordo le tue prime parole a tuo fratello quasi in lacrime… “Marco ne valeva la pena anche solo per la libidine delle iniezioni di morfina”.
Ancora una volta riuscivi a sdrammatizzare. Anche in questo caso una lunga riabilitazione.

Caro Luca non ti sei fatto mancare niente. Alcuni ti hanno detto che sei stato particolarmente sfortunato…
Tu mi dirai che comunque vivi senza rimpianti ed io ti credo. Ciò che è stato è stato ed ora puoi solo continuare ad aggiustare i pezzi che ogni tanto si rompono con la forza e la volontà di sempre, ma soprattutto con la consapevolezza che il diabete, sì, può uccidere, ma può anche condurre ad una esistenza tribolata se sottovalutato, tanto quanto ad una vita mediamente normale se tenuto sotto controllo.
Ora più che vivere devi sopravvivere…

 

 

 

Di Luca Manuel Campanella