Celiachia, non è importante il “tempo” di introduzione del glutine

I tempi di introduzione del glutine nella dieta di un bambino non sembrano influenzare il conseguente rischio di sviluppare la malattia celiaca. 

Questo è quanto emerge da un articolo pubblicato online ieri sulla rivista Pediatrics e deriva da uno studio multinazionale, prospettico, birth cohort study (effettuato sulla vita di un gruppo di partecipanti dalla nascita), che contesta alcune idee correnti sul modo migliore per prevenire l’insorgenza della malattia autoimmune.

La celiachia è una malattia caratterizzata da un danno della mucosa intestinale e da malassorbimento dei nutrienti. La malattia viene attivata, in individui geneticamente predisposti, in seguito all’ esposizione alimentare al glutine, cioè le proteine di riserva ricche di azoto presenti nel grano, orzo e segale.

La dr.ssa Carin Andren Aronsson, del Dipartimento di Scienze Cliniche dell’Università di Lund, Molmo , Svezia e i suoi colleghi nello studio “The Environmental Determinants of Diabetes in the Young (TEDDY) study” hanno fatto notare che: “Studi precedenti hanno suggerito che l’età della prima esposizione al glutine, così come l’allattamento al seno e la sua interazione con il glutine durante lo svezzamento, possano influenzare l’insorgenza della malattia”.

Sebbene la raccomandazione generale è quello di introdurre piccole quantità di glutine, mentre il bambino è ancora allattato al seno, preferibilmente tra i 4 e i 6 mesi di età, “le prove su cui si basano le raccomandazioni sono poche e non sono ancora stati valutate in studi longitudinali per confermare se queste pratiche di alimentazione infantile sono valide in diverse popolazioni, “scrivono gli autori.

Pertanto, per stabilire se il tempo di introduzione del glutine è un fattore di rischio indipendente per la celiachia, gli autori hanno esaminato i dati della coorte seguita dalla nascita dello studio TEDDY. 
Lo studio TEDDY è uno studio prospettico, di coorte con l’obiettivo primario di individuare i determinanti  ambientali di diabete mellito di tipo 1 (T1DM). 

Lo studio ha compreso 6 centri di ricerca clinica situati in Finlandia, Germania, Svezia, Colorado, Georgia/Florida e Washington. I bambini sono seguiti dalla nascita fino a 15 anni di età o fino a che non era stata stabilita la diagnosi di diabete tipo 1.

Tra il settembre 2004 e febbraio 2010 per un totale di 424 788 neonati sono stati sottoposti a screening per T1DM associato ai genotipi HLA.

I neonati erano eleggibili per lo studio se avevano 1 dei seguenti genotipi HLA: DR3-DQ2/DR4-DQ8, DR4-DQ8/DR4-DQ8, DR4-DQ8/DR8-DQ8, DR3-DQ2/DR3-DQ2, DR4/DR4b, DR4/DR1, DR4/DR13, DR4/DR9, e DR3/DR9. Gli ultimi 4 genotipi erano applicabili solo per bambini con un parente di primo grado con T1DM (cioè, madre, padre, fratello).

In questo studio, i ricercatori si sono focalizzati sui membri di un sottoinsieme della coorte TEDDY che era stato testato per l’autoimmunità CD (CDA) con anticorpi anti-transglutaminasi tissutale (tTGA). La ricerca di anticorpi di classe IgA, anti-transglutaminasi tissutali, è uno dei più recenti e diffusi test per la diagnosi di celiachia.

Un totale di 6436 pazienti ha incontrato i criteri dello studio. Durante un follow-up di 5 anni, 773 pazienti (12%) sono risultati positivi per la CDA e 307 (5%) sono stati diagnosticati per la malattia celiaca, tra cui 20 bambini la cui diagnosi è basata su livelli elevati di tTGA.

I ricercatori hanno affermato che: “Dei 773 bambini che sono risultati positivi per tTGA, 283 (37%) sono risultati positivi a 24 mesi, 536 (68%) a 36 mesi, 658 (85%) a 48 mesi e 185 (24%) sono stati risultati positivi in campioni raccolti prima dell’età di 24 mesi “.

Per quanto riguarda le pratiche di alimentazione, il glutine è stato introdotto a una mediana di 21,7 settimane in Svezia, a 26,1 settimane in Finlandia, a 30,4 settimane in Germania e negli Stati Uniti.
In analisi non aggiustate, i fattori di rischio significativamente associati con lo sviluppo di CDA e celiachia sono risultate essere il genotipo HLA-DR3-DQ2, la Svezia come paese di residenza, il sesso femminile, e la storia familiare della malattia.

I tempi di introduzione del glutine non è stato associato con il rischio per il CDA e per la malattia a 5 anni di età, dopo aggiustamento per i fattori. La mancanza di associazione tra tempi di introduzione del glutine e CDA o malattia valeva sia nelle analisi generali e nei sottoinsieme di analisi per paese d’origine.

C’è stato un aumento del rischio per il CDA in bambini che erano stati allattati per più di 1 mese dopo l’introduzione di glutine (hazard ratio [HR], 1,23; 95% intervallo di confidenza [IC], 1,05-1,44) rispetto a coloro che avevano smesso l’allattamento o prima dell’introduzione del glutine. Tuttavia, l’associazione non era significativa per la malattia (HR, 1,13; 95% CI, 0,88-1,46). Entrambe le analisi sono state aggiustate per il genotipo HLA, paese di origine, sesso e storia familiare.

Gli autori hanno anche sottolineato che:  “Nonostante le differenze nei tempi di introduzione del glutine tra i paesi partecipanti, il tempo della prima introduzione di cereali contenenti glutine non è risultato essere un fattore di rischio per il CDA o per la malattia celiaca. Invece, nell’analisi complessiva abbiamo trovato un aumento significativo del rischio di CDA, ma non di malattia, tra i bambini allattati al seno almeno 1 mese dopo l’introduzione del glutine”.

Gli autori ipotizzano che l’aumento del rischio di malattia celiaca tra i bambini svedesi “potrebbe essere causato da una maggiore assunzione di cereali contenenti glutine al momento dello svezzamento, anche se questa ipotesi deve essere esplorata in studi futuri.”

Emilia Vaccaro
Carin Andrén Aronsson et al. Age at Gluten Introduction and Risk of Celiac Disease. Pediatrics peds.2014-1787; published ahead of print January 19, 2015, doi:10.1542/peds.2014-1787
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da PHARMASTAR