Legge 130/2024 e screening per il diabete mellito di tipo 1: conclusa la fase pilota in quattro regioni, oltre 5000 bambini esaminati
Si chiude con risultati incoraggianti la prima fase dello screening nazionale per il diabete mellito di tipo 1, in applicazione della Legge 130/2023. Questa fase ha coinvolto oltre 5.000 bambini in quattro regioni italiane. Un traguardo che segna l’inizio di una nuova era nella predizione di una patologia che colpisce migliaia di giovani ogni anno. I dati raccolti confermano l’efficacia di questa strategia nel ridurre drasticamente i casi di chetoacidosi diabetica – la complicanza più grave della malattia – e nell’aprire nuove prospettive terapeutiche per preservare la qualità di vita dei giovani pazienti e delle loro famiglie.
Le ricerche sono chiare: la diagnosi precoce di diabete di tipo 1 è associata ad un migliore controllo glicemico/metabolico e ad un più alto rateo di remissione a 3 anni [1]. Inoltre, permette di preservare più a lungo la funzionalità delle beta cellule nel periodo di remissione, con una riduzione significativa delle complicanze sia acute che croniche nei soggetti con meno di 19 anni [2].
“Ricevere la diagnosi prima di un episodio di chetoacidosi oltre a prevenire una grave complicanza permette un controllo glicemico più efficace a lungo termine” sottolinea la Professoressa Raffaella Buzzetti Presidente SID “e un eventuale accesso a terapie innovative come il teplizumab capaci di modificare la storia naturale della malattia. Lo screening, introdotto in Italia per tutta la popolazione pediatrica sino ai 17 anni con la legge 130 del 2023, valuta la presenza di anticorpi rivolti verso le isole pancreatiche.
Nel progetto propedeutico sono stati valutati in 4 regioni sono stati valutati bambini di tre fasce di età”.
Lo screening universale, ossia offerto a tutta la popolazione pediatrica prevede, sì, costi diretti e indiretti, ma si traduce in una strategia efficace a medio e lungo termine: permette infatti una riduzione dei casi di chetoacidosi di oltre il 20% e una riduzione sia delle complicanze che della mortalità precoce grazie alla migliore gestione della patologia.
“In particolare, nella popolazione generale lo screening ha portato alla diminuzione dei casi di chetoacidosi diabetica dal 62% al 5% così come riferisce lo studio ASK condotto su 32.000 bambini negli Stati Uniti” ricorda il Prof. Lorenzo Piemonti Direttore del Diabetes Research Institute e Responsabile del Dipartimento di Medicina Rigenerativa e Trapianti d’Organo dell’Ospedale San Raffaele di Milano: “Nel gruppo con casi familiari e rischio genetico, lo studio Teddy ha evidenziato un’incidenza tra il 17 e il 36% dei casi di chetoacidosi, che si sono ridotti all’11% in quelli sottoposti a screening [3]”.
“La progressione del diabete di tipo 1 non è lineare” prosegue Piemonti “alcuni individui, in particolare giovanissimi, possono passare dallo stadio 1 in cui c’è autoimmunità ma livelli di glucosio normali, allo stadio 3 di malattia conclamata senza passare nella fase 2 di alterazione dei livelli glicemici. In altri casi si assiste a una fluttuazione tra i diversi stadi che oscillano tra remissione e livelli glicemici normali, prima di manifestare la malattia. Inoltre, gli stadi possono avere durata diversa da un individuo all’altro”.
Complicanze della chetoacidosi – Proprio all’ingresso nello stadio 3 si concretizza il rischio di chetoacidosi diabetica, la complicanza acuta più seria del diabete di tipo 1, che ha non solo un rischio di mortalità nell’immediato, ma anche un impatto a lungo termine, che può includere alterazioni cerebrali, deficit neuro-cognitivi, aumento del rischio di un secondo episodio di chetoacidosi, minore efficacia del controllo glicemico e aumento di morbidità e mortalità.
Benefici dell’identificazione precoce della malattia – Al contrario, l’identificazione e il monitoraggio della malattia prima dell’esordio dei sintomi hanno mostrato benefici, tra cui una riduzione degli episodi di chetoacidosi, minori ospedalizzazioni e maggiore tempo per l’adattamento psicologico e per l’apprendimento delle capacità di gestione della patologia, con una significativa riduzione dei livelli di stress, sia per i piccoli pazienti che per la famiglia.
L’impatto di una diagnosi in età pediatrica ha effetti, in termini di stress, su tutto il nucleo familiare: sono stati infatti riscontrati aumento dell’ansia, modificazioni nel comportamento e nelle relazioni familiari, stress e sovraffaticamento mentale. Condizioni che necessitano di un adeguato supporto psicologico e di una presa in carico adeguata, al fine di migliorare la gestione della malattia e la qualità di vita di tutti i membri.
[1] Diabetes care 2024 dc 240625
[2] Podolakova et al. Sci Rep 2023;13(1):6790
[3] Larsson HE et al Diabetes Care 2011;34(11):2347-52)