Malattie cardio-metaboliche e psichiche. L’85% delle donne è soddisfatto dei generici, ma 1 su 4 fatica a reperire lo stesso farmaco

Più di 8 su 10 si dichiarano molto soddisfatte dei farmaci generici, scelti per il loro costo inferiore, perché li ritengono uguali ai brand di riferimento e per la fiducia nutrita verso la figura che li consiglia loro, in primis il medico di famiglia (37%), seguito dal farmacista (25%). Oltre la metà segnala, però, di incontrare delle difficoltà nel seguire la propria terapia in modo ottimale.

Sono queste le italiane alle prese con i farmaci generici nell’ambito del trattamento di patologie cardio-metaboliche e psichiche fotografate da un’indagine condotta da Onda, l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna con il contributo di DOC generici. Sono state intervistate 445 donne, tra i 40 e i 91 anni, in 9 Regioni (Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Sicilia), il 75% in terapia con un farmaco generico per disturbi cardio-metabolici e il 25% per disturbi psichici. Obiettivo: valutare l’impatto che un eventuale switch da un farmaco “unbranded” a un altro può avere sull’aderenza delle pazienti al percorso di cura.

Dai dati è emerso che un’intervistata su 4 ha riferito difficoltà nell’acquistare sempre lo stesso generico prescritto. A quasi la metà delle donne (47%) è capitato, infatti, di ricevere in farmacia la proposta di un farmaco diverso da quello abituale. Circa un quarto del campione – la metà di coloro che hanno ricevuto la proposta di switch – ha accettato almeno una volta il cambio e, fra queste, 3 su 4 hanno riscontrato dei problemi riconducibili, nel 56% dei casi, alla confusione generata dalla diversità delle confezioni e del farmaco in sé.
“Il 19% delle donne che ha cambiato l’abituale farmaco generico con un altro mette in atto dei comportamenti che impattano sull’aderenza alla terapia – spiega Francesca Merzagora, Presidente di Onda – l’indagine evidenzia che la sostituzione tra generici può causare confusione nelle pazienti, portandole a errori di assunzione, alla sospensione momentanea della terapia, in attesa di trovare il proprio farmaco, fino all’interruzione della cura in modo prolungato. Questi comportamenti, spesso messi in atto in autonomia, possono incidere negativamente sul successo delle cure, soprattutto nei casi di disturbi cardio-metabolici e psichici”.

Un’aderenza che nel trattamento della depressione maggiore unipolare deve essere massima. “Il trattamento minimo di questa patologia si aggira sui 12 mesi –  puntualizza Claudio Mencacci, Direttore del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Fatebenefratelli di Milano – durante il percorso di cura è indispensabile che lo psichiatra, una volta raggiunti gli esiti positivi, garantisca la continuità terapeutica con la stessa molecola prodotta dalla medesima azienda. Questo al fine di garantire la compliance, il proseguimento dei benefici, oltre che per motivi medico legali. Lo specialista, e non il farmacista, è garante e contemporaneamente responsabile degli esiti della cura. La dizione di non sostituibilità, esercitata anche su una molecola a brevetto scaduto, rappresenta una garanzia per paziente e medico, sia sulla continuità sia sull’efficacia terapeutica”.

“Le malattie cardiovascolari costituiscono la prima causa di morte nella donna – ricorda Alberto Margonato, Direttore della Divisione di Cardiologia Clinica dell’Irccs Ospedale San Raffaele di Milano – con l’avanzare dell’età e delle patologie, spesso le pazienti debbono assumere più farmaci contemporaneamente e purtroppo la compliance non è sempre perfetta, sia per il numero elevato di medicine sia per l’eventuale quota aggiuntiva che i cittadini devono versare, in caso di acquisto di farmaci branded. Inoltrecome dimostrato anche da recenti studi, l’organizzazione attuale delle cure è subottimale e troppo frequentemente il farmaco prescritto viene sostituito: ciò provoca disorientamento, con conseguente riduzione della compliance del paziente e una possibile minore efficacia della terapia”.

“L’aumento della compartecipazione alla spesa dei farmaci conduce a una riduzione dell’aderenza alla terapia – aggiunge Roberto Trevisan, Direttore USC Malattie Endocrine e Diabetologia, AO Papa Giovanni XXIII di Bergamo – questo dato desta particolare preoccupazione per la donna con diabete, spesso associato ad altre comorbidità e complicanze cardiovascolari. Le conseguenze comportano un aumentato rischio di morbilità e mortalità. I dati in nostro possesso, derivati da uno studio della Regione Lombardia su un numero molto elevato di donne con diabete, dimostrano che l’utilizzo del farmaco generico porta a una maggiore aderenza alla terapia, senza alcuna conseguenza su mortalità e necessità di ospedalizzazione. Fondamentale, a nostro avviso, è il ruolo del medico, che deve fornire una corretta informazione”.

 

 

da quotidianosanità.it